Oggi, 27 gennaio, Michelangelo Pistoletto è ospite alla GAM. Proponiamo la video-intervista realizzata all’artista per la rubrica Artscapes

Michelangelo Pistoletto - Ritratto

Michelangelo Pistoletto è ospite stasera, giovedì 27 gennaio, alle 18, alla GAM (via Magenta 31), nell’ambito del progetto “In the Making”, curato dal “Centro Studi Arti della Modernità” e promosso dalla Fondazione Compagnia di San Paolo.

L’artista dialogherà con Federico Vercellone. Modera Chiara Simonigh.

Ingresso libero fino a esaurimento posti disponibili.

Per l’occasione riproponiamo la video-intervista realizzata da Marco Aruga, per la rubrica ARTSCAPES #24.

Fino al 27 febbraio, l’opera di Michelangelo PistolettoAmare le differenze” è fra le installazioni di Luci d’Artista 2021. 

 

Videointervista a cura di Marco Aruga

 

La figura di Michelangelo Pistoletto, emersa all’attenzione con il movimento dell’Arte Povera, ha conquistato nel tempo rilevanza e solidi riconoscimenti internazionali.

L’autore ha elaborato un personale alfabeto espressivo che lo ha visto percorrere molte strade, in comunicazione tra loro. Sia una dissoluzione dello stile (l’artista si è proposto in molteplici vesti, a replicare se stesso come autore di progetti, ma di diverso tipo e proposito), sfuggendo alle contrapposte esigenze di mercato che prevedono invece piena riconoscibilità, realizzando una concreta critica del solipsismo che sembrava caratterizzare l’arte di maggiore visibilità nel periodo degli esordi, l’espressionismo astratto, risolta con l’immergere la propria voce nel turbine della vita, sia l’elaborazione in diverse letture di un’idea, di simboli, di strumenti quali le superfici specchianti, o la poetica dell’autoritratto (quasi un periodico interrogare sé stessi, ma dove la tela “diveniva specchio, per essere autoritratto del mondo”).

In particolare il legame con lo specchio, e con il suo immediato sdoppiamento della realtà, ha molteplici chiavi interpretative: è lo stesso Pistoletto a fornircene alcune.
E’ di volta in volta lo strumento che proietta l’immagine dell’artista nella realtà riflessa, così come gli altri soggetti e personaggi che si trovano così rappresentati – non ultimo lo spettatore stesso -, è il meccanismo che ci impone di aver riguardo a cosa c’è al di fuori di noi, che ci ricorda cosa è stato prima di noi, che scardina l’usuale rapporto tra arte da un lato e chi ne fruisce dall’altro, in un subitaneo scambio di ruolo (e di “compiti”).

Una espressa volontà comprensiva, che nella sua opera ha trovato costante forza. La ricercata dilatazione di spazio e tempo diviene “accogliente”, per l’elaborazione di nuove prospettive, per stimolare nuovi pensieri.

L’artista è in costante dialogo con il mondo. La realtà entra di prepotenza nell’arte, sin dai suoi esordi negli anni ’60, pienamente riferibile ed in colloquio con i sommovimenti sociali di quegli anni, ma è l’arte stessa a partecipare della realtà, uscendo dai luoghi istituzionali deputati ad ospitarla, scendendo – anche fisicamente – in strada.

Il contatto non verrà mai perso, e la sua opera sarà anche critica di una società (potremmo dire non “riflessiva”, piuttosto innamorata della sua immagine riflessa) che teorizza e mette in pratica uno sviluppo miope, incurante delle conseguenze e delle responsabilità.

E con il progetto “utopico” di Cittadellarte (che però ha un luogo, un indirizzo, mille voci diverse ad abitarlo, e numerose discipline – economia, architettura, comunicazione, … oltre all’arte – a prendervi parte) a rendere ulteriormente tangibile questa intenzione.

Lo slancio utopico di Pistoletto non è mai fine a sé stesso: anche quando usa un’immagine estrema come quella del Paradiso (il Terzo Paradiso, dove si riconciliano natura ed artificio, creato e costruito dall’uomo, in un futuro salvifico e civile) lo fa con piena consapevolezza. È il Paradiso in terra che si persegue, è il gesto quotidiano che ci avvicina ad esso che si celebra, è una reale tensione verso il bene ed il meglio, nell’accezione che l’artista ha saputo cogliere, quella di un universo pacificato, partecipato, presente a sé stesso ed inclusivo.

* La videointervista con Michelangelo Pistoletto è stata realizzata al Polo del ‘900 di Torino, nell’ambito delle sue attività culturali, in occasione dell’incontro “Dalle collaborazioni creative al Terzo Paradiso” per il progetto “1968-69 – L’immaginazione al potere”, rassegna realizzata da ISMEL – Istituto per la Memoria e la Cultura del Lavoro, dell’Impresa e dei Diritti Sociali – in collaborazione con il Dipartimento Educazione del Castello di Rivoli e con il Centro Studi Piero Gobetti.

Per la videointervista ringraziamo della collaborazione Brunella Manzardo – Castello di Rivoli, e Margherita Cugini – Fondazione Pistoletto / Città dell’Arte.

Di seguito trovate inoltre un’altra intervista al maestro biellese, raccolta in occasione di un altro incontro pubblico a Torino, sul tema della creatività.

D.: La Fondazione Pistoletto, che ha sede a Biella, è un progetto ambizioso e composito, con molti propositi. Nasce per ribaltare l’assunto dell’artista come eccentrico rispetto al contesto in cui vive, lo vede bensì come figura centrale, in confronto diretto con tutti gli altri elementi della compagine sociale. Ci può parlare in particolare delle sue attività come centro di formazione, di scambio e di confronto, e delle esperienze più promettenti in tali ambiti?

R.: Nel 1961 ho fatto il mio primo quadro specchiante, cioè ho trasformato la tela in una superficie specchiante, e lì ho realizzato per la prima volta un autoritratto che non è più soltanto quello dell’artista solo – come vediamo in tutti gli autoritratti del passato – ma è il ritratto dell’artista insieme al mondo, agli altri. È l’autoritratto sia dell’artista che del mondo. Da quel momento ho pensato che il soliloquio dell’artista doveva per me finire. Doveva nascere per me il colloquio, l’incontro, il rapporto tra l’arte e il mondo.
Io non ho voluto fuggire l’arte, anzi ho voluto partire dalla riflessione che l’arte mi propone, a quel qualcosa cioè che forgia la realtà. Uscendo dallo specchio, allora, ho pensato che attraverso la Città dell’arte – vorrei portare il termine “più in là” – di poter giungere alla civiltà dell’arte, inclusiva di tutti gli aspetti del sociale, ed è su questo fatto che porto avanti il progetto di interazione con tutti gli ambiti della vita comune.

D.: Lei crede nel ruolo sociale dell’artista, ma sembra siano numerose le barriere all’accesso ed alla fruizione dell’arte (di carattere formativo e culturale, economico, …), ed all’avvicinamento al lavoro degli artisti contemporanei in particolare. Come pensa si possa lavorare per avvicinare e promuovere questo incontro?

R.: L’incontro tra arte e pubblico, fino alla fine dell’ottocento, era – forse illusoriamente – realtà. Questo avveniva in quanto l’artista accettava di essere portatore simbolico di concetti religiosi, di immagini sociali, di figure che la gente era in grado di percepire e quindi riusciva associare l’arte ad una estetica ed un’etica socioeconomica.
Nel XX° secolo l’artista ha cominciato ad isolarsi sempre di più in sé stesso e a fare del proprio segno un espressione strettamente personale. Questo non rientra in progetti comunitari (ndr. sentire comune), ma esce da essi, e la gente non capisce più l’arte.
Ecco perché è mancata secondo me l’educazione all’idea della soggettività espressiva, che è nata nel XX° secolo come risposta all’immagine comune che era portata dalla fotografia, dalla televisione, dal cinema. Tutti questi fattori hanno messo in crisi la rappresentazione pittorica e scultorea, ed ha chiesto all’artista di sopravvivere attraverso la forma della soggettività, dell’intensa emotività, della capacità di essere autore di un segno come individuo. Se si capisse questo, si capirebbe anche che si può andare a guardare un quadro così come si va a sentire un pezzo di jazz, o una sinfonia, come un qualcosa che non risponde a una realtà, perché la musica non è descrittiva. Però noi siamo abituati attraverso la musica a cogliere le singolarità, le emozioni, le qualità espressive. Nell’arte questo invece non è stato ancora fatto. Quindi aiutare la gente ad entrare nei musei ed entrare a tu per tu con emozioni, situazioni, segni, concetti differenti vuol dire anche aprire la mentalità del visitatore, che non è più legato solo a una descrizione univoca, ma a una molteplicità. Questa molteplicità porta anche ad amare le differenze, sul piano umano, delle diverse culture e personalità. Siamo tutti differenti.

D.: La manifestazione “Torino Spiritualità” nel 2009 ha ospitato una sua opera, opera che richiamava la necessità del dialogo tra gli uomini, in questo caso tra le differenti religioni.
L’arte come strumento privilegiato di confronto, quindi? Come vettore gentile di idee? e anche terreno di scambio e confronto?

R.: La creatività è la base di tutti gli avvenimenti e di tutti i fenomeni sviluppati dagli esseri umani. L’essere umano, diversamente da tutto quello che la natura propone, è creativo, ha questa caratteristica di fondo. La creatività poi si sviluppa in mille torrenti e rigagnoli, però è veramente la fonte comune. Si manifesta in vari aspetti, e tra essi quelli che sono stati colti come basilari, vi sono quelli relativi alla spiritualità. La spiritualità è la maniera in cui l’uomo si pone davanti al mondo e comincia a riflettere, sul mondo tangibile e su quello che gli sfugge, che non riesce a toccare fisicamente. L’uomo riesce a penetrare in queste dimensioni che non sono solo immediate, fisiche, creandosi però delle situazioni di fatto molto delicate, che sono quelle delle diverse religioni. La religione piomba sulla fisicità del sociale, crea condizioni che possono entrare in conflitto, come accade, coinvolgendo l’economia, la politica e tutto quanto. L’idea è che la creatività, l’arte, possa diventare di nuovo un centro di dinamica nuova del pensiero, che possa veramente ricucire i vari ambiti, che vanno dallo spirituale, all’economico al sociale, al politico, alla comunicazione. L’arte può di nuovo prendersi una responsabilità centrale e in quel lavoro noi abbiamo l’arte messa al centro di una nuova trasparenza, di una cognizione reciproca, che si può creare anche tra le religioni.

D.: In alcuni suoi lavori è presente il simbolo chiamato del “terzo paradiso”. Penso sia l’aspirazione, il richiamo ad un mondo pacificato, dove l’uomo – consapevole e responsabile – in sintonia con la natura si esprima al meglio delle sue responsabilità, liberato da costrizioni da lui stesso create. Come tutte le utopie si auspica che, in qualche luogo, trovino reale ospitalità, anche solamente nelle idee e nei gesti di pochi. Dove vede e trova in particolare i semi del “terzo paradiso”, ora?

R.: Sono gettati a piene mani dalla situazione precaria, drammatica che ci circonda.
Noi siamo arrivati a produrre delle meraviglie, con il progresso. Ma insieme ad esse siamo arrivati anche a creare delle tensioni verso la natura, a corrodere, a invadere in maniera aggressiva la natura, e questa natura si sta ribellando, e pian piano si ribellerà sempre di più. Io considero la natura il primo paradiso, il secondo paradiso è la sfera artificiale che noi abbiamo creato, e che ora si è saturata al punto da diventare pericolosa, esplosiva.
Il terzo paradiso non è altro che l’unione delle due sfere, di quella naturale e di quella artificiale, in modo da farne una sola, una terza sfera di un mondo nuovo che sta tra le due, senza la quale noi non abbiamo possibilità di sopravvivenza.

D.: Molte sue opere ci pongono di fronte a noi stessi, con un richiamo alla necessaria consapevolezza del nostro passato. Dobbiamo essere pronti per il futuro, da costruire consci di quanto abbiamo vissuto. Sembriamo vivere invece, nel mondo occidentale, in particolare nel nostro paese, in enorme vacuo presente: la cura della memoria sembra faticosa, sembriamo distratti, poco disposti ad approfondire, ad acquisire consapevolezza, e quindi a dare senso profondo alle nostre azioni. È un paradosso, se pensiamo che – nel nostro mondo – siamo sempre più liberi dal bisogno, e potremmo “guardare oltre”.
Cosa ne pensa? Cosa ci potrebbe essere utile per “guardare oltre”?

R.: La memoria è un fatto che scaturisce “dallo specchio”. Se noi ci guardiamo nello specchio, tutto ciò che guardiamo davanti a noi sta dietro le nostre spalle, anche nel tempo oltre che nello spazio. La memoria si presenta davanti a noi. Dobbiamo veramente pensare che guardando indietro ritroviamo quello che abbiamo fatto di buono e di cattivo, e cominciamo a fare una selezione. Siamo giunti al punto che abbiamo sempre considerato “del giudizio”. Dobbiamo diventare giudiziosi ed autogiudicarci, guardando indietro, per poter costruire il nostro futuro.

Link:

Michelangelo Pistoletto – “Distruzione del Metro Cubo d’Infinito” – Mostra “Année1 – Le Paradis sur Terre” – Louvre – Paris – 2013.

 

Michelangelo Pistoletto – “Il Terzo Paradiso” – Scuola Normale Superiore di Pisa – 2012

 

Terzo Paradiso – Third Paradise / Rebirth-day

 

Conversations | Premiere | Artist Talk | Michelangelo Pistoletto (con Hans Ulrich Obrist) – 2010

 

TateShots: Michelangelo Pistoletto – 2009

 

Ugo Nespolo – “Buongiorno Michelangelo “ – 1968/69

Il sito ufficiale di Michelangelo Pistoletto

Il sito di Cittadellarte – Fondazione Pistoletto

Il sito del Castello di Rivoli

Il sito del Polo del ‘900