Non capita tutti i giorni di incontrare un manager specializzato nell’organizzazione culturale che sia stato a meno di trent’anni direttore del Salone del Libro, che abbia diretto gli eventi collaterali delle Olimpiadi di Torino e del Padiglione Italia all’Expo del 2015 e che, non ultimo, abbia decretato la rinascita di Matera, grazie alla designazione nel 2019 a Capitale Europea della Cultura.
Lui è Paolo Verri, torinese classe 1966, da oggi alla guida di Ocean Race, l’evento velistico più importante al mondo che si terrà a Genova nel 2023.
Partiamo però dai libri, quali sono quelli che non ti stufi mai di rileggere?
Sono sostanzialmente due, specchiantisi uno nell’altro: La Divina Commedia di Dante e l’Ulisse di Joice che nel 2022 compirà 100 anni ed è la storia di un uomo che viene segmentato in un’intera giornata ed è veramente contemporaneo.
L’esperienza di Matera ti ha regalato una grande soddisfazione ma forse anche qualcosa in più, è così?
Tantissimi amici e tanto sud: la luce di Matera, il suono dei falchi grillai e le passeggiate lungo la Murgia, ma soprattutto la possibilità di far capire che il sud è una grande risorsa per l’Italia. La consapevolezza che nello sviluppo urbano, se si vuole davvero, si può fare quasi tutto e che nemmeno la burocrazia è un ostacolo.
Ora l’evento velistico a Genova…
Mi mancava il terzo polo del triangolo Genova-Torino-Milano: sono stato molti anni a Torino, ho studiato e lavorato a Milano mentre Genova per me è una città sconosciuta. In un mese ho imparato che sono tre città in una: il più grande centro storico d’Europa; una città operaia separata dal mare dove il porto rende quasi irraggiungibile il Mediterraneo; infine, una città totalmente marina che fino a Nervi somiglia molto a realtà come Nizza e Cannes. Questa esperienza non sarà solo velistica in senso stretto ma sarà una sfida che l’oceano lancia all’uomo. Questa manifestazione è stata avviata nel 1973, partirà nell’ottobre del 2022 con oltre venti imbarcazioni di cui due italiane, 42500 miglia marine che vuol dire tutti gli oceani. Partirà da Alicante e andrà in Cina e America Latina e poi finirà il suo viaggio in Europa e in Italia, a Genova nel giugno del 2023. Studieremo il cambiamento climatico attraverso gli oceani e capiremo come combattere la diffusione della plastica che purtroppo, nuovamente, con la pandemia è stata ampiamente messa in circolazione.
Come si costruisce un palinsesto di eventi culturali?
Intanto studiando, che è uno degli aspetti più piacevoli di questo lavoro. Si legge tantissimo e si impara tanto. Non sono mai stato un navigatore ma sto scoprendo degli aspetti di me che mi portano ad un passato lontanissimo di lettore di Salgari e di Defoe: ho riletto da poco “Il re dei pirati” che è la storia del primo ad aver fatto per due volte il giro intorno al mondo come pirata. Viaggiare è bellissimo e viaggiare per mare è molto più pericoloso. I velisti sono come gli astronauti del mare e sulla strada scopriremo delle cose incredibili come la Genova del 1622 e di Cristoforo Colombo che era davvero la Superba, era il posto dove si erano inventati il denaro, le cambiali e gli alisei. Ecco, studiare è un’occasione meravigliosa, perché poi gli eventi non sono altro che far imparare in tempo ridotto alle persone come migliorare la propria vita attraverso la conoscenza. Una conoscenza da divulgare attraverso gli eventi che, così come i libri sono diventati digitali, e questo implica una responsabilità ancora maggiore, soprattutto nei confronti dei giovani.
E’ incredibile come allo stesso tempo ci sia un movimento di pensiero che vuole cancellare il passato, rivedere la storia e addirittura abbattere la statua di Colombo…
Il New Yorker ha dedicato uno speciale a questa storia. C’è stato un forte dibattito. Con Manuela Arata che è stata presidente del Festival della Scienza di Genova e che oggi è Innovation Advisor del sindaco, insieme a Telmo Pievani, che insegna a Padova, organizzeremo proprio in ottobre un dibattito su Colombo ai tempi della Contemporaneità. Il passato non ha colpe ma dobbiamo pensare che i simboli abbiano un valore. Chi si occupa di cultura e di comunicazione deve essere molto responsabile: da un lato, non si può smentire la storia ma, dall’altro, non si può eludere il fatto di discutere con molta attenzione del presente.
Veniamo a Torino. Qual è lo stato di salute, qui, dell’arte contemporanea?
La nostra città è stata punto di partenza dell’arte contemporanea del secondo Novecento e anche del primo grazie ad un grande collezionista come Riccardo Gualino, di cui abbiamo tutte le opere dal 1916 al 1931, prima che andasse al confino e che sono diventate un patrimonio fondamentale della Galleria Sabauda. Oggi abbiamo collezionisti importanti, sia pubblici sia privati, e abbiamo il più antico e il più importante museo di arte contemporanea che è il Castello di Rivoli, il luogo in cui ho visto la mia ultima mostra prima del lockdown ed è il primo posto in cui sono tornato alla riapertura. La direttrice Bakargiev, insieme ad altri curatori di arte, sono stati ospiti di un incontro a Matera per discutere di cosa la contemporaneità può offrire ai territori. Anche le collezioni private, come quelle di Merz e della Sandretto Re Rebaudengo, sono punti focali ma dobbiamo riconoscere che in tutto il Piemonte, specialmente l’area da Cuneo alla Via del Sale, è costellato di luoghi da visitare anche dal vivo. Anche il più celebre artista italiano vivente è piemontese, Michelangelo Pistoletto.
Quali sono nuovi possibili impulsi?
Anche un radicamento forte necessità oggi di un impulso rivolto ai giovani che si occupano di arte, insieme visiva e artigianale, e lo fanno attraverso la street art. L’arte di oggi si misura sempre di più con quanto si fa in strada, nella vita quotidiana. Lasciamoci provocare dai giovani artisti. L’arte ci mette in gioco e per questo dobbiamo saper essere aperti. L’arte contemporanea è una sfida del nostro territorio e l’autunno del contemporaneo a Torino sarà anche quest’anno un momento di grande rilancio. Anche se non sappiamo come andrà la pandemia e ci potrà essere ancora paura, siamo forti delle radici di Torino, che non a caso è la vera capitale dell’arte contemporanea.
Le mostre sono da ripensare nell’ottica del digitale e degli spazi aperti?
Siamo in una fase in cui non credo serva a molto spendere troppo in infrastrutture ma conviene più investire in abitudini, essere rispettosi delle distanze. Il Covid sottolinea una parola chiave del contemporaneo che è responsabilità. Concetto importante sia per il privato e sia per il pubblico. Punterei su una comunicazione del Piemonte outdoor e di una Torino indoor, perché questa città ha degli spazi interni eccezionali e da qui si può ripartire per rilanciare cultura e turismo. Oggi si riapre un ciclo, l’Europa punta sulla creatività e stanzia circa 9 milioni tra il 2021 e il 2027. Se Torino vuole mantenere il suo orgoglio dobbiamo tornare a fare squadra per essere attrattivi e far arrivare in città talenti, imprese e turisti.