Per ARTSCAPES # 38 – FILES – a cura di Marco Aruga, Mike Nelson “Luoghi enigmatici, labirinti della mente”
Le installazioni artistiche ambientali si propongono di creare, direttamente e fisicamente, una diversa realtà con cui confrontarsi. Con l’immersione in un ambiente “altro”, rispetto alla nostra esperienza quotidiana, impongono innanzitutto la necessità fisica di prendere le misure, di venire a patti concretamente con l’universo che viene proposto, che — prima che fisico — è del tutto “ideale”.
Un “teletrasporto”, qualche volta brusco, qualche volta più misurato, in un ritaglio del possibile, immaginato dall’artista, che li “ci aspetta”, con le sue domande, le sue suggestioni ma, più spesso, stimolando le nostre domande.
È questo il medium prescelto da Mike Nelson, artista britannico, ospitato di recente dalle OGR di Torino.
Innanzitutto in “L’atteso” ambiziosa ed imponente “messa in scena”, installazione e prima personale dell’artista britannico in Italia, che è stata in mostra nelle officine torinesi nel 2019.
Un luogo disabitato, ma con vive “presenze” evocative: moto ed automobili vintage, rivolte con i fari accesi verso il grande schermo di un possibile drive in, con lo schermo vuoto, e poggiato su un enorme distesa di detriti. I veicoli sembravano abbandonati, ma recavano in sé i segni dei loro possibili proprietari: piccoli oggetti, vestiti, nastri magnetici… . Tutti spunti per la creazione di una propria storia, presenze di un paesaggio psicologico della memoria suggerita, quella che aderisce alle reliquie che abitano l’installazione, con il soffio dell’immaginazione del visitatore a popolare di fantasmi un luogo tanto presente, quanto remoto. Ci è stato concesso di entrare in un sogno, e di poterlo descrivere. Un attimo congelato, posizionabile con comodità sotto il microscopio di un occhio complice.
L’opera di Mike Nelson è stata presente anche in “Vogliamo Tutto”, la mostra alle OGR di Torino, curata da Samuele Piazza con Nicola Ricciardi.
A partire dal titolo – mutuato da un romanzo di Nanni Balestrini – presenta opere di artisti sensibili alla tematica del lavoro, nelle varie forme in cui si manifesta ora, evidenziando un numero sempre maggiore di contraddizioni, frammentazioni sociali ed una difficile e poco governabile transizione verso un futuro dai confini incerti.
“The Asset stripper” è il titolo del lavoro di Nelson, che qui presenta materiali raccolti in aste di fabbriche dismesse (pavimenti, pallet, un motore, insieme a numerosi sacchi a pelo), il tutto assemblato in una sorta di zattera che i visitatori circumnavigano sbigottiti, consapevoli di essere testimoni di una rappresentazione drammatica di un passato industriale, che fatica a trovare una sua nuova collocazione, o un desiderabile destino.
L’artista ha avuto l’onore — e l’onere — di rappresentare il suo paese, la Gran Bretagna, alla Biennale di Venezia del 2011, ha esposto in tutto il mondo, e si è ritagliato uno spazio particolare nell’ambito dell’arte contemporanea. È uso a creare spazi di difficile decifrazione, con una grande varietà di materiali, che concorrono tutti — come elementi di una scultura — all’immagine generale dell’opera. Flirtando con ambiguità di fondo, amplifica i piani di lettura del suo lavoro, e carica di sottile emotività la sua frequentazione. Il clima sospeso, non minaccioso, descrive ed invita all’inatteso, al naturale spaesamento della scoperta. Dando libertà al visitatore di esplorare le sue installazioni, fa nascere l’idea che questo sia quasi un richiamo a partecipare, a farne parte, e a donare a quegli ambienti la propria prospettiva.
Questo è il nostro incontro con Mike Nelson.
D.: Che tipo di scopi persegue la tua ricerca artistica?
R.: I miei lavori sono costruiti per ogni specifico spazio che li ospita. Ci sono aspetti politici, non della “grande politica”, sociali, ed esprimono una critica sul modo in cui funziona il mondo.
D.: Il tuo grande lavoro alle OGR del 2019 ha bisogno di una breve descrizione dell’autore, e di un suggerimento su come approcciarlo …
R.: Ha avuto un curioso inizio. Ciò che originariamente era stato progettato, non è quello che è stato poi realizzato. Doveva essere un facsimile di un vero tratto di strada, alta un metro e mezzo, con una colata di cemento, luci stradali, limitatori di velocità, eccetera. Ma con gli sfortunati eventi di Agosto a 2018 a Genova, ho compreso come sarebbe stato traumatizzante per gli amici ed i parenti di chi lì era scomparso. Sarebbe stato totalmente inappropriato. Sono una persona molto pratica, mi piace costruire i miei lavori, mi piace il loro lato “fisico”. L’idea di usare auto sembrava avere un potenziale interessante: un oggetto autonomo, molto vario, e mobile — se lo tratti come un materiale di una scultura —. Mi sono ricordato poi del materiale di risulta che si ottiene quando vengono demoliti gli edifici che, ridotto a pezzi, viene utilizzato per ripianare le strade. È interessante, perché le OGR sono un edificio che avrebbe potuto essere demolito, di cui ora ci si prende cura, e che viene reso un feticcio. Il pavimento della mia opera era costituito di ciò che era rimasto di edifici simili a questo, vecchi magazzini, eccetera. C’è quindi una sorta di dialogo tra questi elementi, che parla di decadimento, demolizione e ricostruzione, e della criticità di una istituzione, fatta di cemento e mattoni, che si occupava di materiale rotabile.
D.: Lavorando con le installazioni — interattive per i loro visitatori — desidero chiederti quali sono le tue opinioni sulla realtà virtuale e aumentata, o sulle installazioni immersive e multimediali.
R.: Ho poca esperienza in questo campo. Non mi piacciono neppure gli effetti digitali nel cinema. Preferisco ancora vedere il cinema di animazione “a passo uno”, lo considero più reale delle soluzioni ad alta tecnologia, dell’animazione digitale. Potrebbe dipendere dalla mia età. Sono una persona “analogica”, mi piacciono i materiali, il tatto, la sensibilità delle cose reali, ancora. Non vorrei smettere di utilizzarli, come mezzi di espressione.
D.: Alcuni critici trovano nel tuo lavoro un valore narrativo cinematografico …
R.: Penso di avere una relazione relativamente forte con il cinema, in particolare nei miei lavori più recenti. Del titolo “L’atteso”, per esempio, mi piace la parola, e l’idea che possa essere tradotto in inglese come “expected”, cosa che ritengo possa avere un senso cinematografico. Quando ho iniziato a costruire quella grande struttura, c’era ambiguità sull’uso del grande cartellone, che sembrava uno schermo cinematografico … con le automobili sembrava un drive in … ma nulla è concreto, è specificato, è solo suggerito, in realtà: lo schermo è vuoto. Per realizzarlo, mi sono rifatto ai primi film di Antonioni, come “L’Avventura”, “L’Eclisse”, “Blow Up”, “Deserto Rosso”, e all’idea di un qualcosa che non si conosce mai realmente, e che non ha conclusione. Penso che questo stimolo fosse particolarmente adatto per quel lavoro, che genera un senso di attesa. Penso che faccia pensare anche a Dario Argento, ed ai suoi film horror. Uno dei suoi film più famosi, “Profondo Rosso”, è stato realizzato a Torino … Poteva quindi essere un buon territorio per canalizzare questi elementi. Quello che faccio in questo momento sta a metà tra due aspetti: quello più conscio dell’aspetto scultoreo, e quello più legato all’aspetto esperienziale. Una via di mezzo, in qualche strano modo un “tableaux” (ndr. vivant …)
Link
“L’atteso” – Mike Nelson – OGR di Torino – 2019
https://www.youtube.com/watch?v=PABxJNwle6Q
Il sito della “303 Gallery” con il profilo di Mike Nelson
http://www.303gallery.com/artists/mike-nelson
Mike Nelson at the Venice Biennale 2011 — TateShots
https://www.youtube.com/watch?v=rYyVFCAYzGY
Mike Nelson — The Coral Reef — TateShots
https://www.youtube.com/watch?v=gUsaSnyvZnA
Mike Nelson — Interview — Contemporary Art Gallery, Vancouver
https://www.contemporaryartgallery.ca/video-podcast/mike-nelson/