Contemporaryart ha incontrato Luca Pignatelli e Alessandro Scarabello, in mostra al MEF

Il MEF-Museo Ettore Fico, ospita nei suoi spazi due nuove mostre, le personali di Luca Pignatelli, a cura di Luca Beatrice, e Alessandro Scarabello, a cura di Andrea Busto.

Si tratta di due artisti italiani appartenenti a differenti generazioni: Luca Pignatelli, milanese, classe 1962. Alessandro Scarabello, romano, è del 1979.

Pignatelli presenta un’importante mostra personale composta da circa cinquanta opere che ripercorrono gli ultimi anni della sua ricerca artistica. Attraverso un’originale riflessione sulla memoria, l’immagine, il tempo, sviluppa una personale visione di un “tempo liquido e circolare”, dando così vita a una sorta di “teatro della memoria”, frutto di un eterogeneo archivio di tematiche personali e collettive, di epoche antiche e contemporanee. Installate nelle sale al piano terra del museo, si alternano creazioni site-specific, tele di grandi dimensioni e opere prodotte nell’ultimo decennio, in cui predomina l’astrazione sulla figurazione.

La mostra è curata da Luca Beatrice e realizzata in collaborazione con la Galleria Poggiali. In catalogo è pubblicato un lungo dialogo fra l’artista e il curatore, insieme ai testi di Gaspare Luigi Marcone e Sergio Risaliti.

Scarabello è in assoluto uno dei giovani talenti italiani che può dialogare, in modo paritario, con le avanguardie internazionali contemporanee ed è stato il vincitore nel 2020 del “Premio Ettore e Ines Fico”, che ogni anno viene attribuito dal MEF durante Artissima a un artista che si sia particolarmente distinto sulla scena internazionale. La mostra, dal titolo “Repetition kills”, curata da Andrea Busto, direttore e presidente del Museo Fico, è composta da una ventina di grandi oli su tela che rappresentano e testimoniano come negli ultimi anni l’artista abbia saputo coniugare alle forme fantasmatiche di ectoplasmi pittorici la storia e la cultura contemporanea. Evocazioni al limite dell’astrazione, Scarabello convoglia nelle sue opere un’impressionante quantità di informazioni estetiche che vanno da Balthus a Luc Tuymans, da Scipione all’ultimo Tiziano, in cui tutto si stratifica in una stesura al confine tra figurazione e astrazione.

Catalogo a cura di Andrea Busto, testi di Andrea Busto, Davide Ferri, Damiano Gullì e Hans Op de Beek. La mostra è realizzata in collaborazione con la galleria The Gallery Apart di Roma.

Entrambe fino al 26 giugno.

Contemporaryart ha incontrato i due artisti.

Luca Pignatelli, come nasce l’idea di questa mostra personale di ben cinquanta opere?

Questa mostra raccoglie un numero importante di lavori, alcuni dei quali risalgono a circa quindici anni fa e che sono stati già esposti in alcuni musei tra Napoli e Nizza. A Torino questi lavori non sono mai stati visti. Fanno parte di questa esposizione perché ritengo possano essere un trait d’union verso i lavori più nuovi. Esporre in un museo è sempre importante in quanto si nota la durata effettiva di tutto ciò che avviene nello studio. Il progetto, infatti, si realizza durante l’esposizione, quindi la mostra è sempre fondamentale in quanto è il momento per chiarire ciò che avviene intimamente nello studio. Il progetto nasce anche grazie al curatore Luca Beatrice, con cui abbiamo una collaborazione da molti anni, con progetti anche a Berlino.

Luca Beatrice che tipo di richieste le ha fatto, che interazione c’è stata?

Mi ha dato carta bianca. Luca ha una visione molto chiara dell’arte contemporanea e la nostra interazione ha visto qualche incontro in più per decidere che direzione dare al percorso, lasciandomi però sempre l’ultima scelta. Oltretutto è la prima volta che presento i miei lavori “astratti”, anche se poi astratti non li definirei affatto.

Chiariamo meglio la chiave tematica dell’esposizione: memoria, tempo e circolarità.

Io faccio sempre riferimento alla definizione di opera d’arte data da una filosofa ungherese, che dice che le opere d’arte sono delle persone. Io mi trovo d’accordo perché c’è sempre qualcosa che implicitamente ci attrae, quindi è come un incontro. La tematica che è alla base è quella di una visione e di un mondo poeticamente minacciato. La mostra è un riverbero di questa situazione che dobbiamo costantemente subire. Infatti alcuni quadri hanno degli squarci e un successivo “secondo mondo’’ fatto più di ombre e oscurità. Ho presentato un lavoro di quattro metri su questo tema, con anche degli azzurri che sono un riflesso di quello che è il mondo che mi ha fatto nascere. Torino e Milano sono al nord dell’Italia ma sempre al sud dell’Europa, siamo un riflesso diciamo culturale. Il mio modo di rappresentare è diverso da quella che è la realtà di tutti i giorni, mettendo insieme frammenti di tempo che provengono anche da mondi molto lontani.

Fra i colori predominano i rossi.

In un dittico predomina un rosso, è un lavoro molto importante di due anni, dove ci sono tracce e segni che sono decifrabili o non, come astrazioni, limiti, territori, confini tra terre e tipologie architettoniche trasformate. Io vengo dal Politecnico di Milano, dalla Facoltà di Architettura, e per me questo mondo è stato fondamentale per riuscire a rendere alcuni temi anche temi di trasmissibilità e innovazione e dedizione continua.

Chiudiamo con cenno sui materiali, in quanto lei si concentra sempre su materiali poveri

I materiali poveri per me sono un gesto che cerco sempre di compiere per la mia opposizione all’usa e getta, per evitare di perdere tutto ciò che è manipolato da questo consumismo folle. In alcune delle opere esposte il materiale è stato recuperato da una chiesa che ho visto distruggere, prendendomi cura di questi materiali senza perderne il valore

Alessandro Scarabello, un rapporto speciale con il MEF e Torino, vincitore del Premio Ettore Ines Fico 2020.

Era già stato in città per precedenti edizioni di Artissima ed è un grande onore per me avere ottenuto il riconoscimento di quest’importante premio. Sono molto contento di esporre al Museo Fico.

Cosa porta con questa mostra?

Sono esposte una serie di opere, realizzate a partire dal 2018 in poi, che trovano la loro perfetta collocazione in questi spazi molto versatili.

Quanto è dovuto all’interazione con il curatore?

Abbiamo volutamente ed insieme scelto un percorso frammentato, che nello stesso tempo desse una specie di linea di visita delle opere

Lei raffigura la realtà con una sua personale astrazione.

L’astrazione è sempre presente nei miei lavori, di certo è un mezzo di cui mi servo in base alle circostanze. È complementare alla raffigurazione e non pongo barriere fra le due cose. Nella mostra sono presenti entrambe, unite da un forte sodalizio.

Parliamo del titolo della mostra

Il titolo della mostra è “Repetition kills”, ovvero “la ripetizione uccide”. Ho dato questo titolo con attitudine ironica, in quanto la riproduzione è qualcosa di necessario e con cui ci confrontiamo tutti giorni. Ma nella riproduzione c’è anche la trasformazione, bisogna saperla cogliere e quando lo si fa in qualche modo si riattiva qualcosa di nuovo in noi.