Enrica Borghi. Il fascino delle “cose di nessuno”

Enrica Borghi. Il fascino delle "cose di nessuno"

ARTSCAPES #7, Enrica Borghi. Il fascino delle “cose di nessuno”, videointervista a cura di Marco Aruga

Gli artisti dell’“Arte Povera” avevano deciso di far fiorire la loro ispirazione da elementi quotidiani, umili — materiali poveri, appunto, non usi a “prendere parte” in queste situazioni — interrogandoci con questi semplici strumenti sulla nostra condizione di modernità, qualche volta immemore del passato.

Un movimento, quello sistematizzato criticamente da Germano Celant, le cui variegate istanze hanno retto alla prova del tempo, ed oltre ad una boccata d’aria fresca, allora, sono ora di ispirazione per gli artisti a venire.

Nel solco di quella tradizione si muove Enrica Borghi, giustamente spostando in avanti e nella “sua” direzione l’indagine, radicalizzandone alcuni aspetti — utilizza primariamente elementi di scarto e di recupero — ma sviluppando una precisa, personale poetica. Direi innanzitutto caratterizzata dal rispetto dei materiali usati per la sua composizione artistica, a dispetto delle loro umili origini, e del destino che è normalmente per essi previsto. Un rispetto che viene prima di quella che sarà la loro rielaborazione. Ciò che è “cosa di nessuno” è la reliquia del presente immediato, ha un suo fascino, è una promessa, una “possibilità alchemica della trasformazione” (dalle note che accompagnano una sua recente mostra).

Le sue “Veneri”, prototipo di bellezza classica, sono integralmente ricoperte di unghie finte coloratissime, e portano in testa un turbante/strofinaccio, e sono il perfetto contraltare della “Venere degli stracci” di Michelangelo Pistoletto, icone ironiche, critiche, sensibili e giocose. Come gli enormi e vaporosi vestiti ricavati da strisce di sacchetti e dalle bottiglie di plastica, che divengono anche sculture mobili, o — trasfigurate — armature improbabili nelle performance a loro dedicate, a disposizione delle danzatrici. O gli arazzi ed i gioielli costruiti con gli stessi materiali.

Ė innegabile che un racconto che si avvale di questi strumenti non possa che sostenere anche la riflessione contemporanea sulle tematiche ambientali, ma come “naturale” risultato di una sensibilità vigile e coerente, di cui si vorrebbe intriso l’universo, perché non collassi su sé stesso. Così come è vero che la citazione di stereotipi legati al mondo femminile li metta in discussione, con una levità che non fa perdere comunque vigore al messaggio sotteso.

Dal sito di Enrica Borghi: “Certamente chi raccoglie i rifiuti è accolto come un angelo, ed il suo compito di rimuovere ciò che è rimasto dell’esistenza di ieri impone un silenzioso rispetto, come un rito devozionale, o semplicemente perché una volta gettato via, a nessuno importa pensarci più” (Italo Calvino – “Le città invisibili”)

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