
Per SOUNDSCAPES #35 – FILES – ROAD TO TORINO JAZZ FESTIVAL – a cura di Marco Aruga, Famoudou Don Moye / Art Ensemble of Chicago “Il ritmo libero della creatività”
L’Art Ensemble di Chicago è stato catalizzatore di fermenti creativi, di frammenti di storia, una poderosa leva rivitalizzante della complessa epopea musicale afroamericana.
La musica di questo gruppo ha raggiunto in breve tempo una consapevolezza espressiva, nell’ambito della musica creativa, che ha donato ai suoi ascoltatori, nel corso dei successivi decenni di carriera, una ricca collezione di emozioni, come colori fissati su una tavolozza, sulla fragile trama dell’improvvisazione e della libertà, ad alto rischio, corroborata da intensi richiami alla storia del jazz, e non solo, di volta in volta ironici o sapienti.
Tutto questo permette di segnare la storia del linguaggio di riferimento, ma non basta al gruppo, impegnato in quelle fughe in avanti, nella ricerca, che testimoniano del coraggio e della sincerità del lavoro espresso, e che mettono in gioco una volta di più il patrimonio acquisito, riletto e “riconquistato alla causa”.
Gli echi, i rimandi alla grande Madre Africa, nei costumi di scena, nell’uso di percussioni tradizionali, e nelle maschere cerimoniali che ornano i volti dei musicisti sono un felice corto circuito sentimentale, che con naturalezza annoda i fili dispersi di una diaspora culturale storica, narrata con delicatezza e profondità al tempo stesso, connaturata a chi ha saputo donare alla musica afroamericana del XX° secolo una saga intrisa di creatività, forza, poesia e lirismo con pochi eguali.
Il “metronomo” di AEOC (improbabile, se guardiamo al gruppo come una “macchina da guerra” spesso riluttante ad essere governata e contenuta da una scansione ritmica regolare) è Famoudou Don Moye, batterista, percussionista, ma alle prese con virtualmente qualsiasi cosa potesse produrre ritmo e suono, uno dei motori — diremmo invece — del vortice creativo del gruppo, e delle sue successive reunion, testimonianza di un sodalizio umano particolarmente forte, rinsaldato sulla base di una democrazia espressiva di fondo. Spirito che Don Moye ha trasposto nelle successive collaborazioni e progetti, che lo hanno condotto tra l’altro in Italia con una certa frequenza.
Qualcuno dei componenti originari è volato via, altri con gentile perseveranza portano in giro per il mondo il canto di questa utopia musicale realizzata: improvvisazione, armonia, ritmo, silenzio, libertà, teatro, storia racchiusi in una manciata di emozioni, imprigionati in un attimo, e subito liberati.
Questo è il nostro incontro con Famoudou Don Moye.
D.: I semi che avete lasciato nel passato, lungo la strada — con gli Art Ensemble of Chicago, e le altre tue esperienze — dove sono stati colti e coltivati meglio, secondo te?
R.: Certamente più in Europa che in America. Più seguito, più concerti, più opportunità, più aficionados, più … denaro! Meno stress, più rispetto … sono due mondi differenti, per la cultura…
D.: La tua carriera testimonia un approccio a mente aperta, creativo. Qual è stata la spinta, la fiamma interna che ti ha mosso?
R.: La musica stessa, il suonare insieme alle stesse persone. Ha a che vedere con i gruppi con cui ho suonato. Stare insieme dieci, vent’anni: la cosa più importante è il tempo, suonare insieme per tanti anni, la relazione umana …
D.: Quale suggerimento puoi offrire ai giovani musicisti che stanno affrontando l’attuale mondo della musica? In particolare cosa pensi di come possa crescere la loro anima creativa?
R.: I giovani musicisti debbono incontrarsi con altri musicisti cha abbiano gli stessi obiettivi, è più facile che trovarsi e suonare con tante band differenti… Se le persone stanno insieme, la musica può crescere. Se invece le persone se ne vanno, allora occorre ricominciare da capo. Occorre coltivare le relazioni, come in un orto o in un giardino: dopo 10 anni, può essere più grande e più bello!
D.: L’esperienza di A.A.C.M. (Association for the Advancement of Creative Musicians), e certamente l’Art Ensemble, sono un nodo centrale nella storia del jazz, in primis per l’espressione della creatività. Per stimolarla ci sono dei metodi, o dipende dalla “chimica” tra i componenti di un gruppo?
R.: Con la chimica, e senza disciplina, non nasce buona musica. Ci possono essere musicisti — e non sono buoni musicisti — che suonano solo per sé stessi, ma se vogliono suonare per il pubblico, debbono avere disciplina. La prima è la disciplina, poi viene la chimica. Disciplina per sé stessi, e poi disciplina di gruppo.
D.: Una delle cose più interessanti che vengono dall’esperienza dell’Art Ensemble di Chicago è il fatto che la consapevolezza culturale fosse una parte importante della loro formula. Cosa pensi della relazione tra musica e politica?
R.: La musica è più diretta, ma lo sono anche musica e politica insieme. La musica, senza alcun documento, o video, una volta che è finita è finita. Ma anche quando i politici finiscono di parlare, le parole finiscono nell’aria, ed è tutto finito. Eric Dolphy diceva: “Quando suoni la musica, e le note sono nell’aria, non puoi più riprenderle”. I politici cercano di farlo: fanno uscire le parole e cercano di prenderle… Non parlo tanto di politica, per me è solo un grande bla bla… La musica è “meno parole, e più azione”. Così anche l’arte, la pittura, la danza, la poesia, che cambiano in ogni momento. Sono separate dalla politica. Non è necessario essere un politico per capire le cose intorno a sé. La consapevolezza è più importante, ci sono politici che non comprendono cosa sta succedendo intorno a loro. Vogliono fare quello che dicono loro… Quando usi la musica, fai un atto di testimonianza… Nessun bla bla … o “vota per me”! Con la musica si sa subito se è una cosa buona o no, con i politici è diverso, possono aver fatto molti errori e dopo due anni chiedono di essere rieletti. Con la musica, ogni momento è un’“elezione”: comprare un disco, comprare un biglietto.
D.: Una delle cose più importanti di quell’esperienza è stato il suo approccio multiculturale. Come avete sviluppato i contatti ed i riferimenti con altri tipi di musica?
R.: Quando ero piccolo, i bambini nelle scuole parlavano inglese, tedesco, francese, italiano, spagnolo, russo, ucraino, … e poi dopo la scuola c’erano le canzoni popolari, che venivano da differenti tradizioni. La scuola cattolica, con il latino … così è cominciato tutto. Negli anni ‘50, nello Stato di New York, c’erano molte persone che venivano dall’Italia, dalla Germania … di prima generazione. Polacchi, ucraini … nelle chiese c’erano francesi, italiani …
D.: Hai studiato molti stili, e li hai elaborati. Musiche differenti, e differenti tradizioni ritmiche. Come lo hai fatto? E quali sono i tuoi interessi, adesso?
R.: Sto studiando, e sono interessato ora in particolare a Cuba, lo stile Afro-Cubano, quello Brasiliano, il Mali e quello della diaspora degli Afro-Americani. Il Portorico, Guadalupe, ma in particolare l’Afro-Cubano.
D.: Cosa pensi dell’attuale scena musicale? Della scena Jazz, e delle differenze tra Europa e Stati Uniti?
R.: Gli Europei costruiscono la loro voce, ora. Non hanno bisogno della musica degli Americani, perché la musica che viene da lì non è così interessante ora… Gli Europei possono farlo, così come tutto il mondo. Molti musicisti si stanno impegnando e studiando, anche per il Jazz; qui ci sono più possibilità di essere creativi, secondo me, e ci sono più musicisti. Nel contesto internazionale — Europa o America che sia — vediamo però un vuoto, per me. Nella danza, nella pittura, nella letteratura, anche nella musica, tutto è commerciale. Vogliono tutti una stessa idea, una stessa cosa. É tutto monodimensionale. Le cose nuove vengono dai posti che non hanno l’elettricità. La buona musica viene dai posti che non hanno automobili, lavoro, cibo abbastanza …
D.: Vorrei conoscere i sogni di un sognatore…
R.: Suonare ogni giorno, una grande spiaggia, una casa con musicisti amici, un grande palco, senza pressioni … chiamare musicisti dall’Africa, da vari posti, che abbiano un luogo dove stare, e suonare per un pubblico non grande — 300, 400 persone — registrare in uno studio, musicisti che vengono una settimana … piscina, sabbia … Lo abbiamo fatto, in Jamaica, a New York, in California. Cibo, famiglia, bambini, una grande cucina …
Link
Il sito di Art Ensemble of Chicago
https://www.artensembleofchicago.com/
Art Ensemble of Chicago & Guests Jazz & Wine Of Peace .- 2018
https://www.youtube.com/watch?v=V-HReh66xFc
Famoudou Don Moye/Baba Sissoko – APositsia – Saint-Petersburg, Russia – 2014
https://www.youtube.com/watch?v=kCggk6WmTWc
Art Ensemble of Chicago – Berlin Jazzfest – 1991
https://www.youtube.com/watch?v=z_U96i763zk
The Leaders / Famoudou Don Moye – Sun Precondition One – drum solo – 1989
https://www.youtube.com/watch?v=SG8dhxHiWXU
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