Gijs Bakker protagonista della nuova intervista di Artscapes

Per ARTSCAPES # 50 – FILES – a cura di Marco Aruga, Gijs Bakker “… Ed una risata vi ingioiellerà!”

Noi non abbiamo bisogno realmente di nulla. Nel mondo occidentale, abbiamo già tutto”.

Gijs Bakker sorprende tutti e, chiamato anche a parlare delle sue attività come designer di gioielli, propone questo “grado zero” come una corretta prospettiva per ragionare del progetto.

Parlando di innovatori, e Bakker certamente lo è, lo scarto generato da una posizione di azzeramento è probabilmente uno di quelli più promettenti per stimolare uno slancio creativo.

Lo è stato certamente per le generazioni che, come quella di Bakker, si sono trovati in un consistente apparato di pregiudizi e di status, che tracciavano i confini di una cultura dominante – quella borghese occidentale – sostanzialmente coerente e compatta, e che hanno trovato, per brevi tratti, anticorpi e semi di rigenerazione.

Se fissiamo il design nella dicotomia funzionalismo/arte ed artificio il lavoro di Bakker stressa verso il secondo polo l’ago della bilancia, come è accaduto e sta accadendo ancora per Droog Design, il collettivo di designer che ha capitanato in compagnia di Renny Ramakers, dal 1993 sino al 2009, per lasciarlo e seguire i suoi personali progetti.

Droog ha rappresentato una boccata d’aria fresca in questo campo, concentrandosi sui processi sottesi all’attività di progettazione, riuscendo a coniugare elementi diversi, a far dialogare campi di creatività contigui, rendendoli più permeabili, in uno sguardo di insieme che non ha trascurato aspetti dai più minuti ai più ambiziosi, con pari dignità, impattando così temi dei più vari del vivere sociale, persino suggerendo nuove pratiche e nuovi comportamenti.

La chiave di rottura, di discontinuità, la prospettiva obliqua dalla quale vedere le cose e proporre la propria visione Bakker l’ha trovata – e condivisa nell’esperienza di Droog, per coltivarla nelle successive – principalmente in un atteggiamento ironico e soprattutto ludico (che, i bambini ce lo insegnano nella loro incessante esplorazione, è quello migliore per produrre risultati inediti) che ha valorizzato l’unicità – l’artisticità, allora – dell’approccio.

Divulgazione ed insegnamento hanno caratterizzato l’attività professionale del designer olandese, che ha studiato e focalizzato in particolare il tema della valorizzazione delle capacità artigianali locali in chiave di design contemporaneo, declinandolo validamente sia in patria che all’estero.

Dopo aver lavorato virtualmente in ogni campo della progettazione, ed aver fornito supporto e consulenza a svariate compagnie manifatturiere, ha trovato nei gioielli un settore “privilegiato” di intervento, costituendo “Chi ha paura…?” (CHP…?) che tra i suoi obiettivi cercava, tra l’altro, di andare oltre l’aura che il settore in questione portava, e reca ancora attualmente con sé, coagulando l’interesse e l’azione di molti designer in questo particolare campo.

Che è risultato rivitalizzato del fresco approccio di Gijs Bakker, e descristallizzato: usufruendo di diversi e nuovi materiali, accostando al valore materiale del prezioso una ricercata capacità artigianale, ricercando rinnovati e variegati stimoli, proposti dai numerosi autori che si sono avvicinati nel tempo al progetto.

Questo è il nostro colloquio con Gijs Bakker.

D.: Che cosa ha insegnato al mondo l’esperienza di Droog Design? E poi, cosa ha insegnato a te?

R.: Ha insegnato alla gente che un oggetto può essere qualcosa di più che utile, che è in grado di avere “spirito”. La cosa più grande è stata questa. Ho avuto occasione di notare in tutte le mostre che Droog ha tenuto in giro per il mondo che le persone – sempre ed immediatamente – reagivano con un sorriso, e che quindi provavano sollievo, si sentivano felici, e che lo riconoscevano.Prima, il design era solo lusso costoso, qualcosa da non toccare, esclusivamente indirizzato alle persone ricche. Con Droog, le persone erano invece “autorizzate a toccare”, ed i prodotti in qualche misura erano “qualcosa di diverso”. Ricordo per esempio un vaso di Hella Jongerius (ndr. le “ceramiche ricomposte”), che sembrava un vaso antico: lo demmo al pubblico … per romperlo, per poi ricomporlo, e ci fu una reazione consistente ed immediata. Droog è stato qualcosa che – e lo fu anche per me – ebbe l’effetto di “aprire gli occhi”. Quando noi iniziammo a selezionare gli oggetti, si trattava di prodotti che dovevano avere un chiaro concetto costitutivo, un punto di partenza intellettualmente rilevante, e che dovevano essere prodotti nel modo più razionale ed economico concepibile. Eravamo molto seri, in questo senso, e scoprimmo che l’effetto di questi oggetti era quello che ti ho descritto …

D.: … e si scopre che anche l’humour poteva far parte del design, probabilmente per la prima volta …

R.: Se tu guardi un buon umorista, vedi che deve essere estremamente professionale nella scelta delle espressioni e delle parole che deve usare, per porgere le sue idee al pubblico. Quelli non bravi, non hanno quel tipo di attenzione. Se vedi la storia di questo settore teatrale, spesso sono le espressioni più sintetiche ad essere più ricche di significato.Ed è lo stesso per il nostro contesto: chi si trova a seguire questo gioco, ed è meno bravo, si trova a farlo nel modo sbagliato …

D.: e gli umoristi più bravi, parlano spesso di temi molto seri – e voi avete fatto lo stesso, in qualche modo – …

R.: … e questi attori sanno anche molto bene come “confezionarli” e proporli al pubblico …

D.: Tra le varie questioni di fronte ai designer, nel loro lavoro quotidiano, quali sono le più importanti, per te? L’ambiente, l’innovazione, il funzionalismo, la narrativa, i riferimenti storici, le questioni sociali, … .

R.: Penso che gli aspetti sociali – e globali – siano i più rilevanti. Ho lavorato anche a Taiwan, per esempio, ed è stato molto importante per me. Sono stato molto fortunato a confrontarmi con diverse culture del mondo, e riconoscere le peculiarità di ciascuna cultura ed anche scoprire le connessioni reciproche. É parte del mio lavoro trovare soluzioni concrete, nel realizzare gli oggetti che faranno parte del nostro ambiente.É molto bello vedere come – per esempio – le influenze religiose concorrano ad influenzare questa disciplina.Sono stato educato al cattolicesimo romano, ed anche se non sono un praticante, scopro che questo fatto fa parte del mio patrimonio culturale, è “nella mia anima”, è “lì” … . In Taiwan, con la tradizione buddista, si scopre che essa possa dirsi basata sulla paura (come del resto la cristianità) e come questo dia uno specifico punto di vista al design asiatico. Per dare un chiaro esempio, per uno degli oggetti più eseguiti, un dragone, che è prodotto da maestri intagliatori, ho assistito ad un interessante episodio: un designer realizzò un progetto con un dragone con la testa reclinata, ed un vecchio intagliatore – incaricato del lavoro – reagì con vigore: “No, è un simbolo di gioia e deve essere sempredisegnato con la testa alzata”. Lo stesso orientamento lo si può notare nei tetti dei templi, del resto. La cultura tradizionale influenza sempre quello che siamo ora, e come appariamo essere, ed è molto interessante sapere di avere questi diversi, differenti background.

D.: Grazie alle differenze, comunque! Preserviamole, rivalutiamole e mettiamole in evidenza …

R.: Nelle occasioni in cui ci si è uniti, come è accaduto per esempio nell’esperienza della Comunità Economica Europea, abbiamo visto che ci sono state molte persone, nel mio paese come negli altri, che erano terrorizzate di perdere la loro identità. Dieci anni dopo si è scoperto che le cose andavano in realtà in altro modo: proprio per il fatto di essere uniti, si è molto più coscienti di quello che è la nostra identità!

D.: … cercando anche di capire meglio “quello che sta fuori”, avendo anche nuove identità da provare

R.: Solo se si è molto limitati, se non si hanno gli strumenti per affrontare il mondo, e ci si chiude, allora si spranga la porta preoccupati, dicendo che deve essere eliminato tutto quello che è “diverso”… .

D.: Cos’è la bellezza? E’ utile?

R.: É… interessante … dal momento che sono anche un designer di gioielli … Una delle cose che ho scoperto che quello è considerato bello cambia nel tempo. Uno dei miei gioielli è una collana / collare (“Stovepipe”) che era considerata orribile, trash, nulla, quando la presentai nel 1967. Ora è ospitata nei musei, e quando lo Stedelijk Museum ha riaperto – dopo il suo restauro, che è durato quasi 10 anni – è stata accolta come un’icona del XX secolo.Pur trovando ancora accoglienze contrastanti, erano di più quelli che si chiedevano alla fine: “Come un tubo di alluminio può essere così bello?”. La bellezza quindi è un concetto multiplo.Ho cercato anche di lavorare con il concetto di bellezza, per vedere come poteva essere manipolato. Se uso per esempio in uno dei miei gioielli la foto di un aeroplano distrutto, un’immagine che ho visto sul giornale, isolo la storia e catturo il fatto: il fatto è l’immagine. Allora creiamo una composizione diversa, una struttura che appaia solamente come quello che si è visto sul giornale, ma di cui si può dire “che bello” (con oro, titanio, argento, diamanti, …), e che – d’altro canto – è la rappresentazione di un terribile disastro. Si può giocare su questi motivi: quello che a prima vista può sembrare “bello”, ad uno sguardo più attento apparirà terribile. È qualcosa con il quale posso lavorare.

D.: … e, in ogni caso, per favore, spingici da “qualche altra parte” …

R.: Non solo la bellezza per la bellezza, c’è di più.

D.: Qualcuno ha scritto (Stendhal) che la bellezza è una promessa di felicità. Con nuovi occhi, o nuovi occhiali, si scoprono nuove promesse… . Sembra che – a causa di cambiamenti nelle tecnologie – l’opportunità di creare qualcosa di nuovo stia ampliandosi. Sei d’accordo? Cosa immagini possa succedere – tra autocostruzione, personalizzazione, design fai-da-te? E’ una direzione che darà risultati?

R.: Prima di tutto, ogni nuova invenzione, o tecnica, è per me innanzitutto un utensile. Questo significa anche che – per merito del nuovo utensile – il risultato può essere migliore. L’esecuzione può essere differente, o più facile, e può portare idee completamente nuove.Con una stampante 3D, per esempio, si possono realizzare cose nuove, ma si possono però realizzare subito anche cose superficiali, vuote. D’altro canto creano grandi opportunità. Io stesso ne ho fatto uso, per il “Porsche bracelet”, ad esempio: ho modificato, allungato con il computer e piegato il modello di un’auto Porsche, e lo ho reso un braccialetto. Prima di questa tecnologia non era neppure possibile realizzarlo: sembra ancora un’auto Porsche …Ho immaginato un’ipotesi del futuro prossimo, in cui la stampante 3D affianca quella 2D, e con la quale poter realizzare direttamente oggetti e, cosa ancora più importante, farlo eliminando i costi di trasporto, che è una caratteristica importante e ponderosa della produzione corrente. Questa sarà una rivoluzione importante, che avrà luogo nei prossimi anni. Spediremo dati, non merci. Per me è fantastico. Potremo costruire cose, ma non dovremo costruirle e spedirle in tutto il mondo. Lo scenario di fabbriche, in Cina, dove migliaia di giovani donne fanno tutte la stessa operazione per la loro industria manifatturiera, potrebbe essere presto un’immagine del passato, un superamento di quella che è stata l’invenzione della catena di montaggio, che – ricordiamolo – è stata un’invenzione di 100 anni fa … ed i prossimi 100 anni saranno molto differenti … Tutti i segnali ci sono, anche la conoscenza utile ad effettuare questo cambiamento c’è, deve solo essere implementata.

D.: Hai detto che “non abbiamo bisogno realmente di nulla, abbiamo già tutto”. Se si è consapevoli di questo, cambia anche la nozione di quello che si va cercando, che deve essere più significativo …

R.: Noi, come designer – od artisti – dobbiamo essere consapevoli di questo fatto. Abbiamo il compito di creare, e dobbiamo creare qualcosa che abbia senso. Dovrebbe essere la domanda iniziale per ognuno di noi, la causa scatenante del nostro lavoro.

D.: Hai messo alcuni “semi nel meccanismo”, in questa direzione … Con la tua affermazione “senza il concetto, non si ha oggetto” sottolinei l’importanza del processo maieutico per generare idee. É possibile insegnare questo processo, sulla scorta della tua lunga esperienza di insegnamento? O preparare il campo dove questo processo possa sorgere?

R.: Posso dire che è qualcosa che si può insegnare, e quindi imparare. Per esempio giovani designer italiani che si sono laureati in Olanda, qualche tempo fa, e che hanno ora una carriera in fioritura, ed espongono i loro progetti in tutto il mondo, ritengo avrebbero avuto esiti diversi, se avessero seguito i loro corsi nei loro paesi di origine. Perché hanno visto come lottare con forza per far emergere le loro idee, e parte del loro patrimonio culturale, che gli deriva dal luogo in cui sono nati, si sia arricchito in grande misura per l’approccio intellettuale e culturale che avevano acquisito nel frattempo. Una prospettiva concettuale, che gli ha fornito molte domande, ed è stata molto produttiva.

LINK

Il Sito di Gijs Bakker Design

http://www.gijsbakker.com/home

Il sito di Droog

http://www.droog.com/

Gijs Bakker – On Design – Nowness

https://www.nowness.com/series/on-design/on-design-gijs-bakker

Central Saint Martins College of Art & Design – London – presents Gijs Bakker

https://www.youtube.com/watch?v=huXy3pEQJDU

 

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