L’Etoile della cucina parigina: Guy Savoy, tre stelle ed un sorriso, nell’intervista di ARTSCAPES

Per ARTSCAPES # 52 – FILES – a cura di Marco Aruga, Guy Savoy “‘Etoile’, tre stelle ed un sorriso”.

Eravamo a due passi dall’”Etoile”, la rotonda attorno all’Arc de Triomphe, dove si attorciglia veloce il nervoso traffico parigino, per lanciarsi nelle grandi arterie delle “Avenue”.

É proprio qui vicino, ma in una tranquilla via trasversale, che aveva scelto di trovar sede Guy Savoy, per il suo principale ristorante parigino, che portava semplicemente il suo nome.

Si passava quindi in pochi passi dal caos metropolitano ad un’oasi di eccellenza gastronomica, ed alla gioia – ed alla sorpresa – del palato.

La “stella” di Guy Savoy (ma citiamo sin da subito che la Guida Michelin ne conta stabilmente tre e, lo sappiamo, più in là non è dato enumerare) brilla nel composito firmamento della ristorazione della Ville Lumière. E se sei grande qui, sei grande in tutto il mondo (lo si diceva di un’altra città, ma può certamente valere anche per Parigi).

Ve ne fosse bisogno è lì a testimoniarlo la presenza innanzitutto del ristorante gemello di Las Vegas, che possiamo definire – in chiave retro futurista – un teletrasporto, e di cui possiamo immaginare profumi ed atmosfera, per fortunati avventori / giocatori in pectore.

O quella degli altri ristoranti che, a Parigi, diffondono lo stile e la “joy de vivre” di Savoy.

Nelle pieghe del menu, come per ogni grande chef, si nascondono segreti, alcuni intuibili scoprendo il personale percorso di carriera del cuoco transalpino, altri invece destinati a rimanere tali, come è giusto che sia, dove in gioco sono la maestria, acquisita in anni di ricerca e di raffinamento della proposta.

Una vocazione, la sua, nata in famiglia – sua madre gestiva un ristorante – che, dopo il necessario periodo di formazione, ha trovato sbocco in esperienze oltreoceano, negli Stati Uniti, e poi subito consolidatesi – profeta in patria – nei suoi ristoranti parigini. Un percorso così importante che è giunto ad alimentare, insieme ad altri Chef, la reinvenzione di una delle più importanti cucine del modo, per loro tramite nominata “nouvelle cuisine”.

Orgogliosamente rivendica il “punto e a capo” rappresentato da questa “rivoluzione” culinaria (ma attenzione: siamo in Francia, qui le rivoluzioni le fanno sul serio …) come un vero punto di partenza, un big bang di nuove cucine “al plurale”, caratterizzate dalla vera essenza di quelle ricerche: il gusto riscoperto per il prodotto – componente primo delle ricette – e l’esaltazione dei suoi sapori specifici.

Guy Savoy parla di disciplina quotidiana e di precisione, e di felicità. Se le prime siano chiavi di volta per costruire e giungere alla seconda, ce lo spiega il sorriso che ha accompagnato la nostra intervista. La prima felicità è la sua, e quasi come naturale conseguenza nasce quella dei suoi ospiti. Nel suo ristorante, la – ricercata – impressione è quella di essere a casa di un ospite attento e curioso, che vuole rendere partecipi i suoi ospiti delle sue scoperte e delle sue passioni, in particolare nel campo in cui è maestro.

Ora Guy Savoy si trova a la Monnaye de Paris, presso il Museo della Zecca di Parigi. Una sede “preziosa”, quindi. Tra i numerosi riconoscimenti che ha guadagnato, probabilmente il più significativo viene dalla sua presenza al primo posto ne “La Liste” – tra le varie classifiche che si avventurano a dare ordine al mondo dell’eccellenza gastronomica, è quella che raccoglie le opinioni di centinaia di guide dedicate e recensioni -.

La cucina è l’arte di trasformare istantaneamente in gioia prodotti carichi di storia”

D.: Il tuo ristorante ha guadagnato una grande reputazione. Quali sono gli strumenti principali per raggiungere questi successi professionali, questo livello di performance, e – probabilmente più difficile – mantenere questi risultati?

R.: Non è difficile mantenere il livello raggiunto. Il nostro lavoro necessita di una grande costanza: due volte al giorno, per ogni tavolo, noi dobbiamo fare del nostro meglio. Ogni giorno. Se un giorno dovesse capitare che questo non mi piacesse più, dovrei smettere immediatamente. Conosco tutti qui, ed in particolare conosco ogni ospite.  Ho aperto il mio primo ristorante più di trenta anni fa: ho sempre lo stesso spirito. Considero che oggi sia persino più semplice per me, di quanto lo è stato in passato.  Un bel posto, una buona squadra, molti ospiti, i migliori prodotti, una bellissima città, l’amore per il mio lavoro, i miei fornitori, che mi danno i loro migliori prodotti. Quindi va tutto bene, e … la mia vita è bella (ride)!

D.: Il tuo gruppo di ristoranti, che include quello di Las Vegas, è intanto un grande sforzo imprenditoriale, ma ritengo soprattutto sia una sfida ed un confronto con altre differenti culture. Sei d’accordo?

R.: Si, certamente. Per me gli ospiti non hanno passaporto. Sono di ogni parte del mondo. La musica non è musica italiana o tedesca, è solo musica. Per me ogni ospite, lo è indipendentemente dalla sua provenienza. Quando apro un nuovo ristorante, poi, quello che offro è la cucina di Guy Savoy. Amo il cibo, di ogni parte del mondo, con le sue specificità. La Francia è uno dei migliori paesi per un cuoco, come l’Italia o la Cina, per esempio, per la grande varietà e complessità dei prodotti disponibili. In Francia abbiamo vino splendido, così la pasticceria, la panetteria, i salumi. Ma amo per esempio anche la cucina marocchina che, pur avendo una minore varietà di offerta, rimane molto interessante.

D.: Circa la tua collaborazione con l’architetto Jean-Michel Wilmotte, ce la puoi descrivere? Che tipo di idee avete condiviso?

R.: É una collaborazione molto amichevole. Per il mio primo ristorante di Parigi gli ho chiesto di venire a trovarmi di mattino, perché è il momento in cui tutte le consegne arrivano: ci sono molte esigenze di carattere tecnico che era importante condividere.Le porte di ingresso e le porte della cucina sono sullo stesso asse. É molto più facile operare così, e tutta la “circolazione” avviene dietro l’ospite. I primi problemi da risolvere erano quindi problemi di ingegnerizzazione. Ponendo prima in evidenza quali fossero le questioni di questo tipo, ho lasciato poi libero l’architetto per il design.

D.: Hai molta sensibilità verso l’arte. Qual è la relazione tra un orgoglioso artigiano come te e l’arte?

R.: L’artista è totalmente libero. Lo Chef (il cuisinier) ha pranzo e cena tutti giorni da rispettare, ed orari. Penso ci sia una grande differenza. L’artista inoltre può lavorare da solo, in cucina è semplicemente impossibile. Si ha comunque bisogno di una squadra.

D.: La “nouvelle cuisine” – ai tuoi occhi – è stata anche la riscoperta del gusto dei singoli cibi, rivalutato attraverso le ricette, ma senza trucchi. La maggiore attenzione è concentrata sulla potenzialità del cibo.

R.: La “nouvelle cuisine” è stata una significativa evoluzione della cucina tradizionale, ma è un’evoluzione che non si è certamente interrotta.Abbiamo ora un proliferare di stili, differenti “spiriti” in azione. Penso che la “nouvelle cuisine” sia stata la base di una attenta riflessione sulla cucina, da cui sono nate – per esempio – le cucine di Pierre Gagnaire, Alain Ducasse, Pascal Barbot e di molti altri cuochi.Il cui lavoro è molto differente nel piatto, ma anche molto differente nel “packaging”. Con ingredienti, decoro, atmosfere spesso molto accoglienti, che è anche quello che io cerco di creare nel mio ristorante.Il cibo non è solo. La sua immagine, i suoi accessori (per il burro, per il pepe, …) sono importanti. Non è possibile servire un grande vino in un bicchiere di plastica!Non mi piace il nome “Restaurant”, per me il nome migliore è “Maison”. Questo posto è la mia casa, e l’ospite viene “a casa mia”. Un luogo dove io amo i quadri alle pareti, gli oggetti che ci circondano, i piatti che hanno ospitato le mie ricette, i colori vivaci. Sono interessato all’intera esperienza: il cibo, il modo di offrirlo, la calda atmosfera, e la generosità.Nelle nostre proposte di dessert, c’è un pre-dessert che per me è molto importante, e che riporta a questo stato d’animo. Non è un moderno rice pudding, un creme caramel o una mousse al cioccolato. É un dolce che esprime la mia relazione con il tempo dell’infanzia, ed ha attinenza – ritengo – anche con il sentimento di generosità, che considero molto importante.Una casa senza generosità non è una buona casa.

D.: La cucina francese si è imposta come un costante punto di riferimento per la gastronomia mondiale. Nel tempo nuove cucine si sono imposte all’attenzione, e stanno emergendo in tutto il mondo, creando nuove eccellenze. C’è comunicazione tra questi diversi mondi?

R.: Molti Chef, da varie parti del mondo, sono venuti in Francia per imparare la nostra cucina. Tornando nei loro paesi hanno lavorato sulla loro cultura gastronomica, con un po’ di spirito francese. Ed ora abbiamo molti posti nel mondo che risentono di queste esperienze.Penso a persone come Gordon Ramsay, Thomas Keller, Tom Kitchin.Sono venuti in Francia, per conoscere la nostra cultura, ma è ora il loro talento ad imporsi.

D.: Con l’introduzione di nuove tecnologie, nuove metodologie di lavoro nascono anche in cucina. Nuovi trattamenti dei cibi e nuove preparazioni sono fianco a fianco con quelle tradizionali.Sei attratto dalle nuove possibilità offerte con queste tecnologie?

R.: Si, certamente, ma non dimentico mai i fondamenti del mio lavoro. La cucina francese pone la sua maggiore attenzione al prodotto, che è il “re” del piatto.Detto questo, nuove tecniche possono certamente essere d’aiuto, e creano nuove opportunità.

D.: D’altro canto c’è anche una maggiore attenzione alle fonti di approvvigionamento del cibo. Come lavorate – tu ed i tuoi collaboratori – su questi aspetti?

R.: Sono molte le fonti, ed è un punto centrale della nostra attività. Vi dedichiamo sempre molta attenzione. Prima viene il prodotto, poi la squadra ed il suo lavoro, e a questo punto il nostro ospite.Certamente se il primo e la seconda non sono al massimo livello, l’ospite non sarà contento.

D.: Ai grandi chef come te, è richiesto costantemente un grande sforzo di immaginazione. Come la alimenti?

R.: Per me è un fatto naturale. Non arrivo la mattina e decido “oggi faccio un nuovo piatto!”. Certamente per me la prima qualità necessaria è la curiosità … ed il fatto che io amo mangiare! E’ importante!

D.: Essendo quello dello chef un lavoro creativo, riguarda le emozioni. Quali sono le emozioni coinvolte nel tuo lavoro di ogni giorno? Quali sono le migliori soddisfazioni del tuo lavoro?

R.: Quando tutti sono contenti, ed io per primo! É come a teatro: abbiamo uno spazio dedicato, l’azione ed il tempo per l’azione, nello stesso spazio. E’ un “live show”, con il regista, gli attori … . Un sorriso, è quello che si ottiene.

D.: L’ultima mia domanda riguarda la Francia e l’Italia. Entrambe possiedono una storia molto complessa, e questo fatto si riflette nelle loro grandi tradizioni culinarie.Cosa è vivo e stimolante nella cucina tradizionale francese?

R.: Sono le basi, le tecniche e l’accademia. Ogni Chef porta un “nuovo mattone” per questo grande edificio, ogni generazione. Ora penso che – diversamente da quello che accadeva vent’anni fa – “nuovi edifici” siano in costruzione in ogni parte del mondo. Vent’anni fa un ragazzo nato negli Stati Uniti non pensava ad un lavoro da cuisinier nel suo futuro, accadeva solo in Francia e in Italia. Ora può accadere praticamente in ogni parte del mondo.

LINK

Sito web di Guy Savoy

http://www.guysavoy.com/

Il breve film dei fratelli Salto dedicato al Ristorante Guy Savoy

https://www.youtube.com/watch?v=6ZcxM__Vapg

Documentary of Guy Savoy – French cuisine history – People Network

https://www.youtube.com/watch?v=2SLQxMZzXXo

 

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