Prorogata fino al 28 febbraio
PUSH THE LIMITS, a cura di Claudia Gioia e Beatrice Merz è visitabile alla Fondazione Merz.
Raccoglie le voci di 17 artiste donne: una polifonia di segni ed esperienze la cui immaginazione ci parla della capacità di far transitare sulle soglie del pensiero tutte quelle realtà che sono ‘oltre’.
Principio costitutivo dell’arte è PUSH THE LIMITS e questo è anche il miglior augurio che la Fondazione Merz può farsi per celebrare i primi 15 anni di attività e per iniziare con quelli che ancora verranno.
Il titolo PUSH THE LIMITS dichiara sin da subito la volontà di indagare la capacità dell’arte di porsi costantemente al limite per spostare l’asse del pensiero, della percezione e del discorso, immettendo nuovi elementi nel sistema.
PUSH THE LIMITS racconta senza sforzo, finalismi e sovrastrutture che non siano quelli del pensiero e della creatività dell’arte contemporanea, un percorso di ricerca per trovare un linguaggio consapevole e capace di raccontare il presente.
“PUSH THE LIMITS, perché un limite può nascere in qualsiasi momento e in un luogo dove prima non c’era, può manifestarsi come una malattia dove prima c’era solo la quotidianità, può essere inventato e modellato su un avversario da esso stesso creato. Ma un limite è anche fatto per essere oltrepassato, rinominato, dilatato, ridisegnato e per consentire il passaggio. PUSH THE LIMITS: perché l’arte è ‘spingere oltre i limiti’ continuando a offrire, attraverso il tempo, uno spazio dove i codici correnti di comportamento sono sospesi e la trasformazione diviene possibile; dove il ‘come se’ consente un flusso di più visioni e linguaggi nella ricerca di nuovo senso. Generazioni, storie, sguardi, immagini e logos per dire che quella che chiamiamo realtà altro non è che una crosta sull’infinità dei possibili e che se proviamo a spingere la crosta, questa si rompe facendo emergere tutti quei possibili che ancora non conosciamo” spiegano le curatrici della mostra, Claudia Gioia e Beatrice Merz.
Il percorso espositivo investe interamente gli spazi della Fondazione e si struttura come un discorso continuo; un incalzare, di strappi, sovrapposizioni, interrogativi, di realtà già conosciute e che paiono superate ma che invece tornano, di realtà non note che sarebbe opportuno penetrare, di realtà incomunicabili e che chiedono nuove parole.
Installazioni di grandi dimensioni concorrono alla definizione di una scrittura espositiva in grado di restituire al visitatore un’esperienza di senso totalmente immersiva, tra atmosfere, suoni, parole, tessiture materiche e cromatiche differenti. Dalla dimensione politica a quella simbolica, dall’ispirazione filosofica a quella poetica: un allestimento che sintetizza visivamente l’urgenza espressiva del nostro tempo e che invita il visitatore a definire una propria traiettoria in questo paesaggio continuo.
A testimoniare questa istanza, propria dell’arte contemporanea, sono alcune tra le voci femminili più rappresentative della ricerca artistica internazionale, che con la loro opera hanno declinato – in maniera diversa e sempre relazionandosi con il contesto di appartenenza – l’idea di limite e il concetto stesso di superamento. Autrici che nella loro pratica creativa hanno superato il vocabolario stereotipato di sapere, spingendo più in là i significati.
Le artiste in mostra sono:
Rosa Barba (1972, Agrigento, Italia), Sophie Calle (1953, Parigi, Francia), Katharina Grosse (1961, Friburgo, Germania), Shilpa Gupta (1976, Mumbai, India), Mona Hatoum (1952, Beirut, Libano), Jenny Holzer (1950, Gallipolis, Ohio, USA) Emily Jacir (1972, Betlemme, Palestina), Bouchra Khalili (1975, Casablanca, Marocco), Barbara Kruger (1945, Newark, New Jersay, USA), Cinthia Marcelle (1974, Belo Horizonte, Brasile), Shirin Neshat (1957, Qazvin, Iran), Maria Papadimitriou (1957, Atene, Grecia), Pamela Rosenkranz (1979, Uri, Svizzera), Chiharu Shiota (1972, Osaka, Giappone), Fiona Tan (1966, Pekanbaru, Indonesia), Carrie Mae Weems (1953, Portland, Oregon, USA), Sue Williamson (1941, Lichfield, Regno Unito).