SOUNDSCAPES: il libero e “multi traccia” Sasu Ripatti

Per SOUNDSCAPES #33 – FILES – ROAD TO TORINO JAZZ FESTIVAL – a cura di Marco Aruga, Sasu Ripatti “Libero e ‘multitraccia'” 

Sasu Ripatti (o come recitano alcuni dei suoi alias Vladislav Delay – la sua “personalità elettronica” più prominente -, Ripatti, Luomo (*), …) è produttore e compositore finlandese.

Nel gioco consueto che prova a legare provenienza geografica con ispirazioni e sensibilità, vedremmo Sasu legato alla sua Oulu, che si affaccia sul golfo di Botnia, ad occhieggiare la prospiciente Svezia, cesura di Nord – anche “Sami” – e Sud, in prossimità del Circolo Polare Artico, vivace e tecnologica – elemento che verrà sancito nel 2026, quando sarà Capitale Europea della Cultura – ma anche terra ed ambiente che permette di mettere meglio a fuoco la propria ricerca, con minori distrazioni.

L’uomo (anche senza parentesi, l’abbiamo visto (*) – sic -) si affranca comunque da queste semplificazioni, e sembra volersi smarcare da ben altro, in realtà.

Le sue frequentazioni “universali” lo dichiarano artista “del mondo”, intanto per curiosità e predisposizione personale. La lunga permanenza berlinese, di per sé, sarà garanzia di “universalità” di approccio, e di permeabilità ad alcuni dei più produttivi – in senso creativo – trend del suono sintetico del nuovo millennio. Una intolleranza alla costante e pervasiva mercificazione dell’atto creativo musicale, che solo per convinzione, volontà (testardaggine persino) e consapevole scelta, riesce a trasformarsi in ricerca multiforme e stratificata.

Troverete le sue (numerose) tracce sparse del suono “Ripatti” nei mille rivoli delle sue produzioni discografiche, che sarebbe certo stimolante e curioso percorrere per lunghi tratti, e si rivelerebbero non privi di sorprese, e nella sua attività dal vivo, particolarmente intensa.

Andranno da libere note che seguono il filo dell’improvvisazione, alla rarefazione del suono “ambient”, all’addensarsi ritmico – memore della sua prima formazione musicale, come percussionista -, a tensioni e cupezze, che spesso si risolvono in atmosfere sognanti, a descrivere un panorama quanto mai mosso.

Il difficile compito di trovare il filo rosso che unisce questa consistente e manifesta produttiva irrequietezza, lo si può trovare forse solo nella sua persistente curiosità, musicale ed intellettuale, che è poi la ricetta che garantisce incisività e consistenza al “gesto artistico”, e nel desiderio perdurante di superarsi, nel senso di non porsi limiti ed inseguire la propria ispirazione.

Ricordatevi allora di inseguire – tra i più interessanti della scena elettronica – il percorso di questo artista.

Sasu Ripatti è stato ospite dell’eterogeneo cartellone dell’edizione 2021 del festival “ClubtoClub” [COC – The Festival as a performance / dal 4 al 7 Novembre 2021, a Torino] (https://clubtoclub.it)

D.: Il tuo interesse principale sembra essere la ricerca musicale in sé. Trovare nuovi suoni in una giungla di possibilità. È vero o è solo un’impressione? Come un nuovo suono diviene parte della tua tavolozza musicale?

R.: Ho un’immagine sonora in mente quando inizio a lavorare, basata sui miei sentimenti. Prendo un qualsiasi suono che sento necessario, e tutto ciò di cui ho bisogno perché quel sentimento, quella sensazione sia creata. Penso di essere molto particolare – nel mio sound – ma certo anche di rompere le mie regole e le mie concezioni. Cerco di spingere me stesso ad essere “aperto” con il suono, prendere tutto ciò che mi serve.

D.: Se ho compreso bene, la sensazione viene prima, e poi cerchi di seguirla, per cercare di esprimerla…

R.: Ho una collezione di strumenti, ed ho delle competenze, ma cerco di non pensarci troppo. Cerco di lavorare in modo più intuitivo. Normalmente gli studi sono orientati in senso “tecnico”, ma ho cercato di costruire il mio in modo tale che, quando lavoro, non devo pensare in “senso tecnico”, o a suoni specifici, ma debbo solo creare qualcosa, nei modi più disparati, nel modo in cui “accade”. Ha qualcosa in comune con l’improvvisazione. Cerco di non fare le cose sempre nello stesso modo, cerco di costruirle come un bambino, come un principiante. Cerco di fare tutto rimanendo con questo spirito. Penso di essere più legato alla parte compositiva, ora. Penso che si possa usare qualsiasi tipo di suono per fare grande musica, ma anche con il più grande suono a disposizione potresti creare solo della musica molto brutta. Il suono è irrilevante in questo senso. Non sono solo preoccupato di questo. Quando c’è qualcosa di significativo dal punto di vista musicale ed emozionale, allora il suono arriverà, più o meno automaticamente. Non dico che sia facile, ma è certo più facile che altre parti del lavoro compositivo. È difficile fare qualcosa di nuovo, di differente o di originale. Cerco di fare tutto il possibile, e ritengo che parte di questo processo sia il non pensarci troppo, e non agire troppo “professionalmente” … ma questo richiede comunque molta disciplina.

D.: Scegliere strumenti elettronici come un modo per esprimere sé stessi, significa spesso procedere nella carriera in modo diverso dai musicisti che provengono dall’ambiente accademico. Come hai iniziato con la musica e come coltivi la tua carriera?

R.: Ho iniziato studiando in modo accade mico, da molto giovane, quando avevo cinque anni. Ho iniziato studiando percussioni classiche, poi ho studiato Jazz, sempre presto. Ho quindi un retroterra di studio sostanzialmente accademico. Poi in qualche modo ho “perso la fede”, quando ho iniziato ad essere intrigato dall’aspetto compositivo, ed in particolare produttivo. Quello che avrei fatto non doveva essere una band, non doveva avere un suono come i Rolling Stones, o i Red Hot Chili Peppers, ma cercai di iniziare concentrandomi in particolare sull’aspetto percussivo, lavorando da solo. Ad un certo punto vi rinunciai, quando qualcuno mi disse che si poteva fare musica con alcune di queste “macchine”. Ma io non vengo da un background di musica elettronica, in verità non mi ha mai entusiasmato, non ero particolarmente appassionato a ciò che le macchine potevano fare “in sé”. Sono “libero dalle macchine”, nel senso che nel mondo della musica vengono in seconda battuta. Musicalmente sono influenzato principalmente dalla musica Jazz. Solo razionalmente ho inteso fare musica con le macchine, nello studio, e non dal vivo, e non il Jazz che apprezzo, quello dei musicisti da cui sono ispirato: penso non sia possibile, oggi. Tanto tempo fa ho preso questa decisione Ora suono qualche volta con dei musicisti – e mi piace – ma preferisco essere solo e fare tutto quello che mi piace fare. Sono molto curioso musicalmente, e non voglio crearmi dei limiti: voglio suonare, produrre, montare, fare tutto.

D.: E avere il controllo di tutto, per esprimerti al meglio…

R.: … o anche provare a fare cose differenti. Quando vai da qualche parte, viaggiando, guardi le cose – sia del passato, che del futuro – da un diverso punto di vista, per via dell’esperienza che stai facendo. Ora in particolare cerco di fare solamente cose nelle quali – musicalmente – credo completamente, facendo un po’ di meno che nel passato. Ma dal punto di vista musicale e stilistico sto facendo tutto quello che ritengo interessante. Penso sia necessario, perché non sono solo un produttore di musica elettronica, non posso immaginare di usare un solo stile, una sola forma di musica. Nella carriera, odio il fatto di essere etichettato, lo trovo irrispettoso.

D.: Mette dei confini, quando non ne hai bisogno…

R.: È una cosa grande, ora, questa scena, è merce, è business, ma non voglio averci nulla a che fare. Non mi ci trovo, non ci trovo la mia musica, che a che fare con il mondo della musica per intero. Ho registrato ad Helsinki il lavoro di un musicista ed autore finnico/etiope con la chitarra acustica, ho prodotto il suo album, ero molto emozionato da questo… e nessun sintetizzatore!

D.: Circa i posti in cui normalmente i tuoi concerti hanno luogo: un festival, una sala da concerti, un club… qual è il posto migliore in cui può essere ascoltata la tua musica? Quando componi, da un altro punto di vista, pensi a questi aspetti?

R.: No, posso decidere che qualcosa debba essere ascoltato in pubblico, e qualcos’altro sia destinato all’ascolto privato. Questa è la divisione che faccio. Ma, a parte questo, non penso a questi aspetti.

D.: Ti ho fatto questa domanda perché non so se è – artificialmente o meno – metto in relazione la tua musica a luogo in cui vivi ora, e non so se quel luogo abbia relazione con la musica che componi…

R.: Penso che indirettamente possa avere una grande influenza. Credo molto nel fatto che, per essere in grado di produrre la tua arte, o dispiegare la tua creatività, ci sia bisogno di un ambiente che ti supporti. Per me questo luogo non è la città. Ho vissuto per sette anni a Berlino, ma ho compreso che non mi sentivo bene, come persona. Non penso che si possa stare bene, o entrare in contatto con sé stessi, se si è distratti da altre cose. Ed alla fine questo ritengo si possa sentire nella musica. Dove vivo ora, invece, ho questa chiarezza, funziona molto bene per me. Mi sento bene, in maggior equilibrio, ed anche se hai dei problemi l’ambiente ti aiuta, puoi cercare di risolverli meglio. Ci sono meno distrazioni, dal mio punto di vista.

D.: La tua musica sembra essere spesso pronta per essere parte di un progetto audiovisivo. Lavori con questo tipo di approccio, qualche volta? Se sì, come? Pensi che alcune specifiche musiche che tu produci possono essere vicine a progetti audiovisivi, direttamente?

R.: Sono sempre stato interessato a produrre musica che sia “visuale” di per sé, senza necessità di un supporto video. Sia per la mia musica, che per la musica di altri, non sono mai stato molto interessato all’aspetto audiovisivo. Ed è una cosa che accade molto ora, come se la musica non bastasse, e si debba aggiungere qualcosa da vedere, ma non sono molto d’accordo.Molte persone possono essere interessate a progetti dove sia presente l’aspetto “grafico”, ma se la musica non “mi parla”, non ritengo che possa essere aiutata dalla presenza di un video, che non possa essere resa migliore. Ritengo potrebbe essere comunque bello lavorare per un prodotto cinematografico, ma penso che sia un ambiente un po’ … “corrotto”. Ci sono cose molto interessanti, ma che non possiedono un vero budget per questo lavoro. E so di molte persone che lavorano in quel contesto, ma certamente è un po’ controverso… Ci sono delle piccole cose che vorrei fare, ma al momento non vedo grandi sviluppi in quella direzione. Cerco di evitare di entrare nel “mondo commerciale”, per quanto possibile. Il luogo dove vivo poi è privo di pubblicità, non ci sono molte TV, si ascolta la radio, non ci sono le luci della città. E quando vengo in città noto la differenza, ma non mi dice più niente. Capisco che possa avvenire che nel mondo della musica vengano combinati i due aspetti, il suono e l’immagine, ma può essere anche una cosa superficiale…

D.: Dal tuo punto di vista come immagini il futuro della musica? Stanno cambiando molte cose in questo mondo: cambia l’industria musicale, cambiano gli strumenti che si usano, le persone coinvolte mutano… e molte più persone possono avere accesso a strumenti per creare musica. Tutto sta cambiando in questo mondo, anche dal punto di vista del pubblico. Cosa immagini potrà accadere?

R.: È qualcosa che mi preoccupa. Cerco di trovare delle cose positive in questa situazione, ma è difficile. Penso di trovare qualcosa di positivo, se considero che nella storia le cose si ripresentano, a cicli. Probabilmente ora siamo in una parte bassa della curva, ma continuano ad accadere cose interessanti, e sono certo troveranno evidenza. Ma per il momento sono un po’ triste, vedendo la mercificazione della musica, e non considero certo quella presente una situazione che sia di ispirazione. Ma mi spiace persino parlarne… preferisco pensare che verranno tempi migliori! Le cose cambiano in continuazione, e molto velocemente… sviluppandosi e sostituendosi l’una all’altra rapidamente. Non so cosa accadrà, ma potrebbe essere interessante! Mi auguro che, a tempi lunghi, possono apparire delle cose che abbiano sostanza, profondità, e che le persone possono interessarsi ad esse. Sono molto interessato a quel momento in cui appare qualcosa che mi affascina, e mi rapisce. Sento molte cose, mi affascina ancora molto che qualcosa mi colpisca, seriamente, questo è il motivo per cui ascolto molte cose diverse. Con quello che ascolto di recente non mi è capitato, ma alla fine degli anni ‘90, e dall’inizio degli anni 2000, è realmente accaduto. Non ora, comunque, non nella scena elettronica…

LINK

Il sito di Sasu Ripatti/Vladislav Delay

https://vladislavdelay.bandcamp.com/

Vladislav Delay – Rakka II (Official Video Teaser)

https://www.youtube.com/watch?v=SP2wKJVAtg4

Vladislav Delay – Live @ Inner Spaces – Milano – 2019

https://www.youtube.com/watch?v=uKAsthU70EQ

Lillevan & Sasu Ripatti – short excerpts of KinoVida

https://www.youtube.com/watch?v=4V1JIdDMSWk

Vladislav Delay – Live @ URSS – Milano – 2013

https://www.youtube.com/watch?v=pct4ClY1jhw&t=1s

Per altri servizi, interviste e videointerviste di Marco Aruga, potete inserire la parola chiave “aruga” nella pagina di ricerca [search] in altro a destra, o visitare le playlist di Artscapes [https://youtube.com/playlist?list=PLTex8wGlfxcLgjt3fRa-vdEbDUvMvK5PO] e Soundscapes [https://youtube.com/playlist?list=PLTex8wGlfxcLke0GI1NJ1Ke9I9EJbgVT2] nella pagina di Youtube dedicata a ContemporaryArt Torino Piemonte [https://www.youtube.com/user/BlogContemporary]