Soundscapes: intervista con Vinicio Capossela

Per SOUNDSCAPES #44 – FILES – ROAD TO TORINO JAZZ FESTIVAL – a cura di Marco Aruga, Vinicio Capossela “Rutilante e pensieroso, fantastico e fantasmagorico”

Pesca tronche, piane, sdrucciole e bisdrucciole, le piazza tra chiavi di violino e andanti con moto, teste e gambi in bellavista, soffia sulle codette, si allontana un po’ e guarda l’effetto.

Spolvera e lucida col gomito quello che non si usava più, ma che da qualche parte, nel pentagramma, ci sta proprio bene. Prende e aggiunge, poi toglie, poi aggiunge.

Frequenta perifrasi e metafore – ma non si fa influenzare più di tanto – per il piacere di discorrere con loro, per meglio catturare un lampo, un’immagine, e restituirla.

Nelle giornate di pioggia e freddo ti offre un cordiale, ma lo bevi e sa di assenzio. Nelle giornate di sole invece si va al bar, ma non per bere qualcosa di fresco, magari in un bicchiere alto e sfaccettato, tintinnante di ghiaccio, ma per vedere invece la gente che c’è, da sotto la tesa di un cappello demodé, all’ombra.

Dondola e gongola, usa il megafono o la voce più sottile, stentoreo nel musicar per bande, raccolto, piegato sul pianoforte, invece per dire di cose piccole e leggere. Avviluppa parole in carta di caramella traslucida, e poi le soffia via. Si vanno a piazzare nello scaffale – alto – dei sogni, altre nella poesia – fango e fandango – dei bassifondi.

Si dice che sia capace di viaggiare nel tempo e nello spazio – vox populi -, ma comunque lentamente, si direbbe più spesso con un treno, o apparentemente in mongolfiera.

Ci racconta dei destini dei calzini, di Po e di Orinoco, incanti e peccati, tarante e mariachi, tanghi e cha cha cha, circassi e maraja, e noi lo ascoltiamo e gli crediamo.

Lo troviamo in un sogno steampunk, ma anche al lattaio all’angolo, che ce ne sono ancora. O in una balera, seppiata nel ricordo, ma non ci sorprenderebbe incontrarlo nella pancia di una balena, a picchiettare i tasti di una pianola, con un suo amico a disegnare improbabili traiettorie con le mani, vagamente prestidigitatorie, davanti a un diabolico Theremin, a richiamare ed incantar sirene.

Gioca un po’ come fanno i gatti: occhieggia ed ammicca, allittera e strimpella, fa le fusa – che non sono birignao – guarda di sottecchi, dietro la barba, ed intuiamo una smorfia, o un sorriso o tutte e due insieme.

Vinicio è capace di questo e di altro, lo sapete.

Vinicio Capossela è stato ospite dell’edizione 2022 di MonfortinJazz and more, con il suo tour “Round one thirty five 1990 – 2020. Personal Standards”, per un concerto organizzato dall’Associazione Monfortearte, che con tenacia e maestria ospita – da più di 40 anni – nell’unico scenario del suo Auditorium Horszowski, tra le colline di Langa, grandi nomi della musica nazionale e internazionale.

D.: Ascoltarti ci porta in un altrove popolato da personaggi ed atmosfere non comuni, da storie e miti dove troviamo descritte paure, sentimenti, pulsioni … ma direi spesso anche profumi. Dove trovi le tue storie e quindi cosa ti ispira? Che cosa ti emoziona?

R.: Beh, direi che è stata una faccenda diversa, col passare del tempo. Nel senso che quando si è più giovani, in una storia – magari anche d’amore, di disperazione o di esaltazione -, ci si butta più a capofitto, quasi con l’intima convinzione che la vita metterà poi a posto le cose. Col tempo invece si vede che le cose non vanno così, allora si allontana da sé l’”occhio di bue” e lo si pone in prospettiva, focalizzato su una condizione un po’ più generale. Penso cioè, col tempo, di essermi fatto un po’ più antropologo: mi interessa non tanto quello che mi succede, ma quello che succede all’uomo in séNaturalmente i racconti che l’uomo ha elaborato, il mito stesso ed i grandi testi sono pieni di storie esemplari. Io con la letteratura ho un rapporto non “da studioso”: semplicemente a volte mi capita di trovare nei libri, anche in poche righe, un concetto che viene ad essere un po’ come la chiave della macchina, la cosa cioè che ti permette di “avviare il pensiero”. Dopo la benzina, le ruote, le gomme ce li devi mettere tu… Nel mio disco “Marinai, profeti e balene”, per esempio, si trovano storie che possono essere definite esemplari, che parlano dell’uomo in relazione alla sua natura ed al suo fato. Per questo ho usato la metafora dei marinai e dei profeti, di chi si affida a sé stesso e di chi indaga l’enigma, così come le balene e gli esseri fuori misura, scelti come un corollario dell’uomo e della sua storia. Mi interessano molto le storie che hanno un contenuto generale, ma che devono essere un po’ sottratte al senso comune. Mi interessa il sacro, nel senso indicato da Giorgio Agamben. Il sacro cos’è? É qualcosa che deve essere “sottratto all’uso quotidiano”. Per quello anche mi interessa il linguaggio non del quotidiano e non dell’attualità, ma quello che appartiene alla sfera del tempo mitico, per avere una visione un po’ epica delle cose in cui ci muoviamo, che valga un po’ per tutti. Alla fine i temi che si abbracciano diventano un po’ più variegati, rispetto a quelli consueti come l’amicizia, l’amore, o la sua perdita, e riguardano tante altre sfaccettature, dei sentimenti e dell’uomo in sé.

D.: Sei a caccia di storie, munito di un linguaggio – quello dell’epica e dei miti – desueto e particolare, manifestando una cura tutta speciale nel suo uso. Il linguaggio è sostanziale, oltre che cifra stilistica – come per altri poeti e scrittori – mentre ci rendiamo conto che non avvenga lo stesso in altri campi legati alla comunicazione in senso lato, per esempio nel linguaggio più evidente dei media …

R.: Il tempo è la cosa più preziosa che abbiamo, ed è quella che più facilmente buttiamo via, senza rendercene neanche tanto bene conto. Ci sono delle prove che ci fanno prendere coscienza di come la vita stessa sia una cosa così unica, importante.  È un periodo che nei media, in generale, ci sono raramente delle esortazioni ad essere migliori, ma ce ne piuttosto altre ad essere esplicitamente peggiori. Una cosa che mi fa sentire questo periodo molto volgare.  Il fatto di scegliere ed usare un linguaggio, invece che un altro, è legato al desiderio di valorizzare e proteggere le cose che si ritengono importanti. Credo che le cose migliori si salvino così: studiando. Non è una questione di snobismo, è questione di preservare qualcosa di sé e della storia comune che si reputa importante, sano. Secondo me è importante occuparsi delle cose grandi, non solo delle cose basse. C’è un fortissimo stimolo ad essere bassi.

D.: Usi la musica e le parole come strumento privilegiato per raccontare le tue storie. Cosa ne pensi allora del rapporto tra musica e immagini?

R.: Lo sceneggiatore migliore del mondo è la nostra fantasia, dare delle immagini già fatte mi sembra talvolta riduttivo, rispetto a questo. In quello che scrivo io cerco di mettere moltissime immagini, visioni. È sempre molto difficile fare qualcosa con musica ed immagini. Questa è la civiltà che ha sancito completamente il primato della vista sugli altri sensi, ma trovo infinitamente più discreto l’udito, ed interessante il mezzo radiofonico per esempio. Raramente leggo le notizie dal giornale, né le apprendo dalla televisione, perché la considero un mezzo brutaleLa vista credo sia l’organo più abusato, e la comunicazione visiva la più invadente.

D.: C’è un posto nella pianura padana, che nonostante tutto, è soggetto alle maree, e che tu conosci molto bene. Sono i Murazzi di Torino. Ti dico di qualche immagine, di qualche pregiudizio o di qualche luogo comune su questa città: che dicono essere magica, concreta, epica nel lavoro, con epopee, tragedie, ma anche molto etica, politica e solidale.  C’è qualcosa che riconosci di queste Torino nelle tue esperienze?

R.: Per un periodo della mia vita Torino è sempre stata un po’ la meta a cui arrivare … esangui, e dopo anche quella da abbandonare, sfiniti.  È stata per me come i “sotterranei” di cui parlava Kerouac. Quelle che ho vissuto a Torino erano spesso esperienze che svanivano all’alba, come i vampiri. In realtà io della Torino diurna ho poca esperienza… È sempre stato un posto che giustifica tutte queste tenebre che la avvolgono, e l’occultismo … la cosa che mi piace delle cose occulte è che sono quelle ove si percepisce meglio l’elemento fantastico, sono piene di cose non verificabili. Per quello mi piacciono del resto le storie di letteratura del mare, perché sono quelle normalmente non verificabili. Torino sempre avuto quest’alea di tenebra intorno, per me, che l’ha fatta popolare di mostri e … di angeli.

Link

Il sito ufficiale di Vinicio Capossela

http://www.viniciocapossela.it/

Video

Il canale Ufficiale di Youtube

https://www.youtube.com/user/viniciocapossela

Vinicio Capossela feat. Young Signorino – +Peste

https://www.youtube.com/watch?v=viZAhOY3Bto&t=8s

Marajà”

https://www.youtube.com/watch?v=28YG8eulzts

Con una Rosa”Premio Fabrizio De Andrè – “Parlare Musica” – 2011

https://www.youtube.com/watch?v=RXUZY8j1QXI

Ovunque proteggi”

https://www.youtube.com/watch?v=wx44rJvd7VY

Il paradiso dei calzini”“Solo show alive”

https://www.youtube.com/watch?v=UKC8rhxrrWI

 

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