dichiarano “Denunce, Fughe e Abbandoni”, e la terza è dedicata, dulcis in fundus, alle “Bellezze ed Elevazioni”.
Rosso in boccia (2017), Il Grande Passato (2017), Ballerina nei suoi cambi di scena (2016), Incendio (2016), Profondo blu ( 2016), Maschere (2016), Pugno rabbioso (2017), Caduti a Nassiriya (2006), Zaino Valigia Aperto (2016), Zaino Valigia Chiuso (2017). Infine, alla sezione BELLEZZE ED ELEVAZIONI appartengono opere come: Tapiro (2003), Pescatore (2012), Cernia (2017), Pesce Volante (2017), Seppia (2012), Octopus (2017), Ita149 (2017), Donna che
entra nel muro, Specchio performativo, Faccette, Nasini, La Famiglia (installazione) (2021), Fiore Ape, Mano destra, Mano piccola, Mano sinistra (2016), La Ginnasta, La Bicicletta, Donna che corre, Dalla Ruota alla Luna, I Calciatori.
più attenta ai diritti delle persone.
Milano, Torino. Vive e lavora tra Torino e Limone Piemonte.
L’icona per la quale Osvaldo Moi è conosciuto nel mondo è certamente la sua Lumaca – Scongiuro, nota ai più come Escargot, ovvero l’assemblaggio – in una nuova valenza simbolica – tra un animale familiare e di un popolare fenomeno social-psichico come la scaramanzia.
Il gesto visivo delle corna, mimato con le dita indice e mignolo della mano (anche adottato come codice per significare il proprio apprezzamento per la musica rock), su cui poggia una chiocciola fatta di materiale sovente improbabile come stoffa, peluche, latta, corda, alluminio, etc, e un intervento artistico che potrebbero far tremare i polsi agli studiosi di metapsicologia freudiana.
Moi è un miscelatore di elementi plurali che sin dall’infanzia ha imparato ad esercitare sbarazzinamente. E’ proprio il metissage tra due elementi diversissimi tra loro, a reiterare l’originalità della sua cifra stilistica.
Il creatore di queste strane e originalissime ibridazioni, pone all’Osservatore, una serie di dialettiche di interpretazione pluri-identitaria e a giochi di polarità metaforica che traghettano nella cosiddetta “fluidità” di genere di “oggetti-Sè” di cui è pieno il mondo contemporaneo.
Eppure al contempo, Egli ha il potere di evocare immagini che attingono all’inconscio collettivo. Ovvero, nella sua produzione scultorea si può ravvisare una sorta di bestiario immaginifico, creato attraverso un ironica operazione di implementazione (o di sottrazione) che mette in dubbio ciò che in origine ogni elemento singolarmente rappresentava.
A chi guarda, non gli rimane che chiedersi a quale categoria fare riferimento per un ragguaglio interpretativo. Prevarrà l’interpretazione sul piano umano? Oppure su quello animale? O infine, su quello surreale ?
Di fatto Osvaldo Moi riesce bene nell’operazione di unire forme note, ma appartenenti a pulsioni emotivamente distanti ( es Palla/Mina/Ordigno versus Bambino/Bambina) lasciando che due soggetti/oggetti si compenetrino l’un l’altro per giungere al senso finale dell’opera che vuole forgiare.
La sua estetica tra uomo e natura, cosi come tra corpo e funzione (come si può vedere per le sedute La Carla o Alessandro) propone una dissoluzione, alias una ricerca dell’”assenza” del resto di Qualcosa, per creare una realtà a sé stante.
Grazie ai suoi lavori riusciamo a sperimentare la graduale scomparsa dell’immagine originale che appartiene alla nostra memoria atavica (un animale, un corpo umano) per sostituirla altrettanto gradualmente con un’altra che rientra nelle cosiddette “transizioni”, ovvero le modalità di passaggio da un momento all’altro. Come quando due immagini si sovrappongono in un video, creandone una terza.
Riscrivendo nuove mappe e nuovi itinerari dell’esistente, sovente nel tentativo di giungere alla costruzione di aggregati sostanzialmente fantastici (come nel caso delle sue creazioni ibride come il Dado con Piede), all’artista appare urgente l’esigenza di equilibrare il rapporto tra tutti gli Esseri, quasi al fine di plasmare nuove visioni dell’esistente.
Mondi che, raccontano per sintesi due concetti, come per l’endiadi.
I suoi lavori da una parte incuriosiscono, avvolti come sono da quell’aura di mistero che apparentemente le circonda (un palo sottile con delle grandi orecchie in ascolto? Dei pesci che parlano? Un naso che può essere anche gamba, piede o pugno?), dall’altra attraggono inevitabilmente, nell’intento di risvegliare stimoli al pensare/analizzare la realtà, migliorandone l’esito.
Una condizione destabilizzante, quella della dimensione espressiva, in particolare quella tridimensionale, di questo scultore che si pone in una posizione di continuo scacco matto nei confronti di un vivere sempre più ambiguo, infido e sfuggente alla comprensione da parte dell’individuo.
Moi invita chi guarda a spostare ulteriormente il proprio punto di vista nei confronti del mondo, e lo conduce in una dimensione metaforica, fatta di forme e colori fuori dall’osservazione convenzionale, determinando un forte spaesamento.
Ecco perché entrando nei suoi ambienti espositivi a Limone Piemonte e a Torino si comprende immediatamente la sua personale ricerca verso il contraddittorio rapporto tra uomo e società. Di fatto la sua produzione sembra briosa, mentre invece sottende ad una provocazione profonda.
Questo scultore, che nella vita ha volato per mestiere su cieli di guerra, ha visto ciò che nella vita ci si augura di non vedere mai: terremoti, roghi, inondazioni. Calamità tutte caratterizzate da distruzione.
Proprio perché i fatti di cronaca Moi li ha sovente vissuti in diretta, non può esimersi dallo scavare meandri nel rapporto tra essere umano ed ambiente.
Anche questo è un argomento quanto mai attuale in un periodo storico come quello odierno, caratterizzato da un clima di crescente schizofrenia, acutizzata per di più dai mezzi di comunicazione di massa e dai cambiamenti tecnologici moderni, che fanno intravedere mondi nuovi con cui risulta sempre più faticoso rapportarsi.
Ora, che si tratti di battaglie fisiche o di ansie e nevrosi personali, oppure ancora di imposizione di violenze o potere, egli procede nella sua narrazione plastica – anche nelle opere più pop e surreali – con una certa anomalia. Una inquietudine data dalle nuance sgargianti, innaturali. Una tracciatura di elementi distonici che traslano le avvisaglie di pericolo, auto-dichiarandosi quasi con una battuta sarcastica. Pertanto, come ho già avuto modo di scrivere altrove, nei suoi lavori si rimane costantemente pervasi da un urlo tacito, da una denuncia sottaciuta.
Ciò nonostante, Moi è ancora un ottimista e crede nella salvezza. E lo stile bizzarro, e a volte ironicamente brutale, non deve fare pensare ad alcuna forma di ingenuità. Con la sua tecnica l’artista addolcisce il messaggio, proprio con l’ironia che lo contorna sempre quando si racconta, e dalla quale sovente emergono teneri ricordi dell’infanzia.