Torna la nostra rubrica dedicata alla musica. Per SOUNDSCAPES # 27 l’intervista a Ralph Towner “Chitarra Grand Piano”

Torna la nostra rubrica dedicata alla musica. Per SOUNDSCAPES # 27 – FILES – a cura di Marco Aruga, Ralph Towner “Chitarra Grand Piano”

Due sue composizioni (“Icarus” e “Ghost Beads”) sono state scelte per battezzare due crateri lunari, e la sua musica per accompagnare il viaggio di una missione Apollo.

Il riluttante Ralph Towner, al tempo della scelta, non fu particolarmente entusiasta: la notizia gli arrivava pur sempre da una parte di quell’apparato militare statunitense che era impegnato allora in ben più terrene battaglie, in Vietnam, al cui movente e spirito non aderiva certo.

Ma ciò che rimane ora, deprivato del conflitto del tempo, è una paradossale glorificazione di un successo nel percorso di scoperta dell’uomo, tramite la raccolta celebrazione di un epico insuccesso (il nuovo Icarus ce l’ha fatta …).

Il brano è una delle più rappresentative ed evocative composizioni del chitarrista: lirica, articolata, venata di sensibilità, dalla dinamica ora malinconica, ora gioiosa.

Una traiettoria emotiva che spesso accompagna il lavoro di Towner.

Il musicista si è misurato con vari strumenti, prima di giungere – tardivamente – alla chitarra, il suo strumento principe, che si accompagna alle tastiere, il pianoforte in particolare, nelle attività compositive e concertistiche.

Della chitarra acustica – spesso 12 corde – è riconosciuto maestro: uno stile personale, ambizioso, che sonda le possibilità dello strumento in ampiezza, profondità e colori, che ben sposa le sue scelte artistiche, che lo hanno visto immergersi nel mare del Jazz, conscio delle reminiscenze e delle passioni per l’ispirazione folk ed etnica, e per il rigore ed i dettagli classici.

Il risultato è veramente un unicum: lo scorrere parallelo delle “due carriere”, da leader e con il gruppo degli Oregon – di cui è il principale compositore –, gli ha fornito tutte le possibilità di sviluppare il suo unico talento, e di manifestarlo in numerosissimi contesti.

Difficile operare scelte in una così vasta produzione artistica, ma probabilmente nelle realizzazioni in solo si trova il distillato più prezioso del lavoro di Towner e l’ampio sguardo che presiede alla sua opera.

Ralph Towner, è stato ospite – per un concerto in “solo” – dell’edizione 2021 di Open Papyrus Jazz Festival, organizzato da Music Studio – Ivrea Jazz Club, storica associazione attiva ad Ivrea da oltre 30 anni (www.music-studio.it)

D.: Quando componi, è un dialogo con te stesso innanzitutto, o sei ispirato anche da elementi esterni?

R.: É una questione interiore, per me. Non importa se io sia felice od arrabbiato. Posso scrivere pezzi gioiosi quando mi sento terribilmente giù, od alcuni dei miei brani più “scuri” quando sono contento. Seguo istintivamente il percorso che va dal nascere di un’idea, al suo rafforzarsi, sino al formarsi di una vera identità, per crescere in personalità, sino al nascere del pezzo. Potrebbe essere un brano molto gioioso, e costituirsi in modo del tutto autonomo rispetto a quello che capita veramente a me.Non è un bilanciarsi tra la realtà e la mia fantasia, comunque, è piuttosto il suono e l’emozione legata al suono, che è più forte dei miei problemi personali.Questo è importante, perché – più in generale – non c’è nulla di “esterno” (denaro, popolarità, …) che possa realmente incidere.

D. Quando tu descrivi questo tipo di ispirazione, mi fai venire in mente qualcosa che hai detto e che riguarda il modo che hai di suonare, cioè il fatto che ti senti ogni tanto “parte del pubblico”. É come un modo di interiorizzare ispirazione e tecnica, e poi esprimersi con qualcosa che proviene dal tuo io più interno, senza una struttura che lo limiti …

R.: Il suono e la musica sono una cosa così potente. Sì, è vero comunque, è una cosa che accade, il fatto che stia suonando, ma anche ascoltando, nel senso che hai spiegato. Il fatto comunque di far parte di un gruppo, poi, ti spinge naturalmente ad ascoltare quello che fanno gli altri. É sorprendente scoprire come tu sia diviso. I musicisti ascoltano sé stessi, prendono decisioni, ed ancora ascoltano. É un po’ come nelle famiglie italiane: parlano tutti insieme, nello stesso momento (ride)!

D.: Le tue composizioni includono spazio per l’improvvisazione. Come bilanci l’elemento improvvisato con le parti scritte? Hai una regola, una disciplina, un modo di comporre?

R.: Dipende dall’idea iniziale, e non puoi mai essere sicuro che questa sia un buon veicolo per l’improvvisazione. Talvolta ci possono essere delle parti scritte così complete, che non trovi molto altro da dire. Non posso sempre essere sicuro che l’idea di cui ti parlavo funzioni, comunque, sino a quando non la mettiamo alla prova. Le canzoni che scriviamo, poi, sono ancora strettamente in relazione con la tradizione jazz, di modo tale che risultano essere “a settori” ed in quelle più ampie si trovano delle sezioni aperte, ove non sappiamo mai “esattamente” cosa possa accadere.

D.: Stai ancora esplorando attivamente le tue possibilità di esprimerti con il tuo principale strumento, la chitarra. In altre parole si tratta di una lunga amicizia, ma stai ancora scoprendone aspetti nuovi.

R.: Il fatto che Mark si sia aggiunto al gruppo (ndr.: il batterista e percussionista Mark Walker si è unito al gruppo degli Oregon nel 1998) ha avuto riflessi sul modo nel quale noi suoniamo tutti insieme ora, migliorandolo, e la stabilità che ne è derivata lo ha reso più rilassato.Quando sei più rilassato è anche più facile “provare” a suonare qualcosa di diverso, ma senza stress.Non puoi realmente e direttamente suonare qualcosa di diverso, perché la musica va troppo veloce, nel frattempo. Non fai a tempo a pensare: “Penso che proverò a fare questo” … il tempo che ci vuole a verbalizzare qualcosa del genere ed è già troppo tardi. La musica è già andata troppo lontano.É un linguaggio incredibile, la musica, viaggia ad una velocità incredibile. Non è un linguaggio verbale, ma è molto strutturato. Formato da domande e da risposte… Va molto diretto, ai sentimenti, oltre la logica. Penso che sia per questo che la musica ha un posto così importante nella vita di molte persone. Allo stesso modo della letteratura: ci sono libri, anche formalmente semplici, che sono profondi e complessi al tempo stesso.Noi non possiamo attenderci di avere un pubblico “pop”, ritengo, per via del fatto che la nostra musica contiene troppe informazioni. Penso però che tutti possano capire la parte più importante della musica, cioè il modo con il quale cerca di muovere le emozioni, e penso che questo non involga degli aspetti superintellettuali.Accade per la musica quello che succede per il tempo atmosferico, che muove le cose, si muta… Ed anche se la musica può essere molto costruita, non è qualcosa che si debba necessariamente conoscere nella sua interezza. E proprio come il tempo, non è neppure prevedibile, nel suo manifestarsi.

D.: La tua carriera si muove naturalmente dentro e fuori dal contesto degli Oregon. É il trucco per essere sempre equilibrati? Sembra essere un po’ come essere a casa, e poi fuori per un po’ di tempo …

R.: Si, è vero. Ognuno di noi praticamente proviene da mondi diversi … e porta il suo pesante bagaglio alla navicella madre! (scherza)

D.: Hai avuto esperienza come compositore per colonne sonore (“Un’altra vita” di Carlo Mazzacurati). Come lavori in questo specifico campo? Ci saranno altre possibilità per vedere il tuo lavoro associato a quello di altri artisti visuali?

R.: Quello è stato un film inusuale. Carlo ha voluto che la musica fosse come un altro personaggio nel film. In quel campo, come regista, normalmente devi tenere conto delle persone che producono il film, dell’investimento per esso… è certamente un tipo di carriera molto stressante. Ci possono essere interventi di coloro che hanno messo i soldi e che possono dire semplicemente:”Non mi piace”. Certo, ci sono delle eccezioni.É un’altro tipo di arte, molto sfibrante, dai tempi veloci. Non certo come scrivere della musica classica, per esempio, per la quale mi prendo un mucchio di tempo, cosa di cui sono felice.Per rispondere alla tua domanda, voglio dirti che ho avuto l’opportunità di improvvisare a Roma su di un bellissimo “slide show”. É stata una cosa interessante. La parola recitata penso che possa essere molto vicino alla musica. Ho visto Günther Grass a Roma accompagnato da un percussionista che suonava oggetti di metallo, anche di recupero. Il modo con il quale i due elementi funzionavano insieme è stato incredibile: e parlava in tedesco, di fronte ad un pubblico italiano, ma quanto diceva era veicolato in modo così bello dalla musica!

D.: La tua musica ha bisogno di “orecchie aperte”. É intima, profonda. Reclama, direi, ha bisogno di attenzione. Pensi che lo spazio per questo tipo di musiche stia crescendo o meno?

R.: Nelle radio per esempio ritengo stia perdendo spazio. Collego ciò alla situazione economica, ed al fatto che vi siano processi di concentrazione e privatizzazione, che privilegiano la musica più immediatamente produttrice di profitti. Perde così spazio, per esempio, la musica classica.

LINK

Il sito di Ralph Towner

http://www.ralphtowner.com/

Ralph Towner – Solo Concert – Roma Jazz Festival – 2019

https://www.youtube.com/watch?v=9dznLMaW88o

Ralph Towner – Anthem/Nardis – Live in Korea – 2018

https://www.youtube.com/watch?v=swVNSa8AAic

Ralph Towner, Wolfgang Muthspiel & Slava Grigoryan – “Icarus” – 2005

https://www.youtube.com/watch?v=38k2W5UFyjM

Ralph Towner & Gary Peacock – “The Prowler”

https://www.youtube.com/watch?v=SQBXYsCeL-M

Ralph Towner Quartet, Live – Molde 1978

https://www.youtube.com/watch?v=1BUlADe6yPM

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